La seconda
stagione di Pesci Piccoli, disponibile dal 13 giugno di quest'anno su Prime
Video, con più budget, più episodi e più ospiti di pregio rispetto alla
prima, mette in evidenza il perché di questo divario. La serie costringe, infatti, il gruppo creativo napoletano a confrontarsi ancora una volta con un
medium che, per quanto addomesticato, si rifà a regole molto differenti da
quelle di YouTube e dei social, in primis la necessità di parlare a un
pubblico più grande, stratificato, disomogeneo.
Con Aurora Leone, Ciro Priello,
Fabio Balsamo, Gianluca Fru e Martina Tinnirello nel cast, e una sceneggiatura
ad otto mani, firmata sempre da Francesco Ebbasta e Alessandro Grespan,
affiancati da Alessandro Bosi e Mary Brugiati, questo secondo capitolo ci
riporta all'interno dell'agenzia pubblicitaria alle prese con nuove sfide
aziendali, mentre ciascun protagonista deve fare i conti con una delle paure
più vere e nascoste di sempre: affrontare sé stesso.
"Si piange
tanto, ma si ride anche", così i The Jackal avevano presentato questa nuova
stagione durante il Comicon 2025.
Nel corso
degli otto episodi (due in più della prima stagione), torniamo nell'agenzia di
comunicazione protagonista, piccola e geograficamente lontana dai grandi centri
della pubblicità italiana, con ormai al comando una ex del mondo più grande e
competitivo, Greta (Martina Tinnirello), e una squadra un po' sgangherata che le
va dietro. Ritroviamo l'agenzia divisa tra la voglia di puntare più in alto e
una crisi economica che morde con ferocia il comparto. Ciro ritrova una vecchia
fiamma e continua a far valere il suo spirito bonario, rimarcando però un
concetto: non bisogna mai approfittarsi della bontà altrui; Aurora cerca di
superare la delusione amorosa con Alessio, mentre prova a tenere alto lo spirito
d'ufficio; Gianluca continua a sfoderare le sue spietate battute, e Fabio lo
ritroviamo intriso del solito cinismo. Per sopravvivere i pesci piccoli devono
imparare a nuotare tra gli squali, o almeno provarci.
Nella prima
parte di stagione risultano molto chiari i limiti dei The Jackal come
sceneggiatori e attori, specie facendo il raffronto con quella che potremmo
considerare la sorella maggiore di questa serie, o per meglio dire lo squalo: Call My Agent Italia di Sky. Pesci Piccoli ripropone in piccolo, appunto, quanto fatto da Sky,
appoggiandosi a peso morto sulla presenza di guest star via via più importanti
e impattanti, ma non sempre capaci di dare una svolta incisiva all'episodio di
riferimento.
Un altro
limite di Pesci Piccoli è quanto dipenda da altri prodotti per
sviluppare la sua storia, specie sul versante comico. Un intero episodio
dedicato alla Melevisione, quello con il Fight Club dei
complimenti tra uomini, la macchinetta del caffè Hal 9000, oltre a una marea di
riferimenti pregressi che si portano dietro guest star come Maurizio Merluzzo e
Beppe Vessicchio, che lo troviamo in un ruolo talmente assurdo da risultare
credibile per la società di oggi.
Pur avendo episodi della durata stringata di mezz'ora, Pesci
Piccoli 2 talvolta fatica a riempirli, perché deve centellinare la poca
storia orizzontale che ha per non rimanere corta sul finale. D'altronde i The
Jackal hanno le loro radici nella parodia (basti pensare a quanto fatto con Gomorra)
pensata per la loro generazione o nell'ironia leggera basata sugli stereotipi
italiani. Pesci piccoli 2 alterna questi due poli narrativi, attingendo
alla loro competenza personale. I passaggi migliori sono, infatti, quelli in cui
senti dietro la disperazione e il cinismo di chi ha visto "il lato oscuro dei
mestieri creativi e social" italiani. C'è anche tutto un discorso molto interessante ma poco
approfondito sull'impatto che gli influencer hanno avuto sul mondo della
pubblicità e della promozione, con i protagonisti di fatto costretti a
collaborarci e coadiuvarli. I personaggi di Aurora e Fabio, in particolare, faticano ad amalgamarsi con
quelli portati avanti da interpreti tradizionali come Martina Tinnirello, e
devono rimanere molto, molto aderenti alla loro personalità originaria,
rendendo le loro linee narrative piatte, prevedibili e spesso ancorate a
dinamiche adolescenziali che mancano davvero di mordente. Al contrario Ciro e
Fru, pur interpretato personaggi basati sulla loro caratterizzazione portata
avanti nelle incarnazioni precedenti, sono più convincenti a livello
recitativo, anche nei passaggi drammatici, anche negli spezzoni realistici e
sostengono i filoni narrativi più articolati e interessanti. A brillare davvero è Fru con il suo
personaggio per certi versi diametralmente opposto al ragazzo entusiasta di
fianco ai The Kolors sul palco di Sanremo 2025. Non solo è così carismatico da
staccare il resto del cast (e spesso salvare gli episodi più deboli) ma il suo
pubblicitario stronzo, anaffettivo e molto represso ha di gran lunga le svolte
narrative migliori della seconda stagione: basti pensare all'episodio trip sulla
Melevisione che si chiude con un suo maturo discorso al suo bambino
interiore, superando il suo trauma infantile (forse quello di molti).
La scrittura dell'episodio più nera, esplicita e cinica, e la presenza di Danilo Bertazzi nei panni di un Tonio Cartonio, espressione del subconscio; tutto, insomma, regala la mezz'ora più memorabile dall'inizio della serie e l'unico passaggio in cui si avvicina a quella che è la pietra miliare e il metro di paragone di questi prodotti che raccontano realtà lavorative creative dal di dentro: Boris. Dopotutto, uno dei valori che sta più a cuore al regista di questa serie è proprio la nostalgia, oltre che l'umanità dei personaggi, temi ricorrenti in tutti i suoi lavori, dalla serie Netflix Generazione 56K alla serie sugli 883 di Sky.
Del resto c'è una maggior attenzione
per la vita sentimentale dei protagonisti - su tre fronti, Aurora, Fabio e Ciro
- intanto che lo show spinge molto più sulle dinamiche d'ufficio che rimandano
alla comicità statunitense. Per esempio, una delle coppie ricorda le
vicissitudini di Jim e Pam di The Office, mentre l'annuale sfida per
ricevere un premio irrisorio e che profuma di gloria strizza l'occhio a Brooklyn Nine-Nine. Come
accade per ogni sit-com scritta con attenzione e sensibilità, diventa
inevitabile empatizzare con questi personaggi, profondamente umani e autentici,
e per le situazioni, comuni nella vita di tutti i giorni. Potrebbero averle
vissute i nostri colleghi, o gli amici di sempre. O potremmo averle provate
noi, almeno una volta nella vita.


