Da un mese la troviamo anche su Netflix, ma nasce come serie di Sky nel bel lontano 2007.
Prodotta da Fox, Boris rappresenta ancora oggi il vertice assoluto della serialità televisiva italiana, che è cresciuta negli anni grazie allo streaming, ufficiale e pirata.
Piccolo lavoro di intelligenza e comicità, nato dalle menti degli sceneggiatori Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e Mattia Torre (scomparso prematuramente lo scorso luglio), che hanno coltivato i loro sogni cinefili di cui il set di Boris fa strage, questa particolare "fuori serie" è composta da tre stagioni, ognuna di 14 episodi l'una, un film conclusivo per il cinema (qui la recensione) e un revival su Disney+ uscito nel 2022 (qui la recensione). Non ricordo con esattezza quanto tempo fa la vidi, ma sicuramente rimane una delle mie serie italiane preferite con cui ho fatto binge watching.
Boris vuole raccontare tutti quegli elementi che ci sono nella fiction italiana: una regia alla "cazzo di cane", l'interpretazione di una "cagna maledetta", possibilmente della protagonista principale, un protagonista maschile esaltato e raccomandato, una fotografia "smarmellata", luci da far schifo tutte puntate sul protagonista, concludendo con incitazioni di autofomentazione più o meno realistiche di un regista frustrato che vuole portare a termine le sue scene, come l'indimenticabile "dai dai dai". Questi sono alcuni ingredienti della fiction "Gli occhi del cuore 2", medical drama rinnovato per una seconda stagione, nonostante i bassissimi ascolti, che sta girando il regista Renè Ferretti (Francesco Pannofino). La fiction altro non è che il set di una soap simil CentoVetrine: una parodia di tutti quei programmi televisivi che accompagnano i pomeriggi degli italiani. La televisione prende in giro la televisione. Così il set de "Gli occhi del cuore 2" diventa quel luogo di lavoro dove i personaggi di Boris passano le loro giornate, si relazionano, portandosi dietro speranze e frustrazioni. Ogni personaggio di Boris rappresenta uno dei tanti archetipi che forma quel mondo eterogeneo che è il popolo italiano: una troupe di raccomandati e scappati di casa alle prese con il set della fiction capitanata da Renè Ferretti.
La coralità è sicuramente una tra le armi vincenti di Boris. Tutti i personaggi, infatti, anche i meno caratterizzati, sono dotati di forti componenti empatiche. Questo perché non vi è un vero protagonista di riferimento. A primo impatto sembrerebbe essere lo stagista Alessandro (Alessandro Tiberi), che osserva la situazione bizzarra in cui è capitato, ma poi nel corso del racconto subisce un decentramento. Alessandro è un ragazzo introverso ed educato, totalmente estraneo alla realtà sempliciotta del set; è alla sua prima esperienza professionale in quello che è il sogno della sua vita e che, al pari dello spettatore, si ritrova spiazzato di fronte alla mancanza di rispetto del dietro le quinte. Alessandro siamo noi giovani, provati dall'esperienza del precariato, già stanchi da umiliazioni.
Solo grazie alla bisbetica Arianna (Caterina Guzzanti), l'assistente alla regia, l'unica dotata di un po' di serietà e professionalità all'interno del gruppo, che Alessandro riuscirà ad ottenere qualche compenso retributivo. Arianna ha superato da poco il periodo di apprendistato e ha già capito come gira il mondo della televisione. È una ragazza di poche parole, vuole far bene il suo lavoro ed è l'unica di cui Renè si fida. Per lei non c'è tempo per l'amore, ma sarà proprio Alessandro a farla dubitare dei propri sentimenti.
A capitanare la troupe de "Gli occhi del cuore 2" c'è Renè Ferretti, un regista megalomane e depresso, in crisi professionale che si ritrova a fare fiction di basso livello. Il personaggio possiede un'ottima caratterizzazione proprio perché si imbatte con la mediocrità televisiva e se ne vergogna. Accetta queste produzioni solo per comodità e per denaro, ma si lamenta in continuazione dell'ambiente in cui si trova. Renè è un "capitano a comando della propria nave", ma la nave la regge in piedi barcollando con disillusione e rassegnazione tra un "a cazzo di cane" e un "anche questa ce la siamo portati a casa". I sogni di Renè, alcuni esauditi e altri infranti, lo hanno portato a capire che, nonostante la buona volontà, il talento e i buoni propositi, questo paese è sempre pronto a mettere i bastoni tra le ruote.
Renè è stanco di combattere contro grandi gruppi imprenditoriali che controllano la televisione: vuole far bene il suo lavoro a tutti i costi, nonostante la mediocrità di quello che sta realizzando. Inutile dire che Renè è il mio personaggio preferito, insieme ad Arianna, e Pannofino ci concede una delle sue migliori interpretazioni.
Accanto a Renè vediamo Duccio (Ninni Bruschetta), direttore della fotografia e grande amico di Renè, siciliano divenuto cocainomane a causa del suo lavoro sempre meno soddisfacente. Passa le sue giornate tra una pennichella e una ripresa, non è più curante del lavoro che fa, in quanto gli basta lavorare poco ed essere pagato bene, limitandosi a "smarmellare" e "aprire tutto" (cioè usare la luce senza troppa competenza). Le differenze tra i due sono evidenti: entrambi rassegnati, ma da una parte Renè cerca di portare avanti dignitosamente il proprio lavoro, dall'altra Duccio sembra, invece, aver abbracciato con entusiasmo la propria condizione.
Animano il resto del set anche lo scontroso capo elettricista Biascica, romanista doc e costantemente in lotta e in attesa per gli straordinari di aprile di "Libeccio" (chiaro riferimento alla fiction Rai, Vento di Ponente), la pigra e alcolizzata segretaria di edizione Itala che rappresenta quel popolo femminile amante e dedito al trash. Accanto ad Alessandro lavora anche l'altro stagista Lorenzo, soprannominato lo "schiavo", poiché dal carattere timido e sottomesso.
In questa troupe tecnica non mancano gli sceneggiatori, le menti di questo progetto mediocre, il motivo del fallimento della televisione italiana: tre ragazzi che usano sempre gli stessi stati d'animo da dare ai personaggi, in particolare non si possono dimenticare le numerose scene in cui diventa leggendario il tasto F4, ormai automatico, per esprimere l'unica espressione che conoscono in modalità basita:
"chiudi su di lui F4 basito".
A controllare il corso dei lavori ci sono Sergio, delegato di produzione, attento solo a risparmiare il più possibile sul budget a disposizione, e Lopez, dirigente della rete che vuole farsi credere un pezzo grosso ma che in realtà è asservito al principale direttore di rete Dottor Cane.
Infine anche il pesciolino rosso, che dà il titolo alla serie, ha un ruolo importante, quello di una mascotte sulla quale Renè spera e prega scaramanticamente nella buona riuscita: l'unico raggio di luce per lui in questo mondo di incapaci. Nonostante Renè abbia cambiato molti pesciolini prima e dopo Boris, ognuno rappresenta il punto di vista del pubblico osservatore che, nonostante non ci sia, la serie ricalca bene i giudizi delle persone nel guardare una fiction italiana come "Gli occhi del cuore 2".
Assolutamente e ciecamente convinti della loro immensa bravura, Stanis (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescentini) sono le star della serie e interpretano i medici Giorgio e Giulia: lui vanitoso e presuntuoso, mentre lei capricciosa e viziata. Entrambi fanno impazzire tutta la troupe con le loro richieste e cambi di sceneggiatura. Pietro Sermonti interpreta un attore che interpreta un medico, cosa alquanto simile al suo precedente lavoro Un medico in famiglia, fiction che ricalca perfettamente ciò da cui Boris si allontana. Tutto questo è geniale: Guido Zanin diventa Giorgio Corelli con una sottile autoironia. Il suo personaggio prende in giro quanto da lui stesso fatto negli anni precedenti e rappresenta una sorta di espiazione per l'attore per aver preso parte a quella produzione. Carolina Crescentini ha il ruolo difficile di recitare male di proposito, per questo definita da Renè "cagna maledetta". Sia Stanis che Corinna sono persone raccomandate di cui Renè non riesce a liberarsene, al punto tale che chiederà al professionista Orlando Serpentieri (Roberto Herlitzka) di recitare "alla cazzo di cane" per evitare di rendere troppo evidente la differenza recitativa.
A controllare il corso dei lavori ci sono Sergio, delegato di produzione, attento solo a risparmiare il più possibile sul budget a disposizione, e Lopez, dirigente della rete che vuole farsi credere un pezzo grosso ma che in realtà è asservito al principale direttore di rete Dottor Cane.
Infine anche il pesciolino rosso, che dà il titolo alla serie, ha un ruolo importante, quello di una mascotte sulla quale Renè spera e prega scaramanticamente nella buona riuscita: l'unico raggio di luce per lui in questo mondo di incapaci. Nonostante Renè abbia cambiato molti pesciolini prima e dopo Boris, ognuno rappresenta il punto di vista del pubblico osservatore che, nonostante non ci sia, la serie ricalca bene i giudizi delle persone nel guardare una fiction italiana come "Gli occhi del cuore 2".
Assolutamente e ciecamente convinti della loro immensa bravura, Stanis (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescentini) sono le star della serie e interpretano i medici Giorgio e Giulia: lui vanitoso e presuntuoso, mentre lei capricciosa e viziata. Entrambi fanno impazzire tutta la troupe con le loro richieste e cambi di sceneggiatura. Pietro Sermonti interpreta un attore che interpreta un medico, cosa alquanto simile al suo precedente lavoro Un medico in famiglia, fiction che ricalca perfettamente ciò da cui Boris si allontana. Tutto questo è geniale: Guido Zanin diventa Giorgio Corelli con una sottile autoironia. Il suo personaggio prende in giro quanto da lui stesso fatto negli anni precedenti e rappresenta una sorta di espiazione per l'attore per aver preso parte a quella produzione. Carolina Crescentini ha il ruolo difficile di recitare male di proposito, per questo definita da Renè "cagna maledetta". Sia Stanis che Corinna sono persone raccomandate di cui Renè non riesce a liberarsene, al punto tale che chiederà al professionista Orlando Serpentieri (Roberto Herlitzka) di recitare "alla cazzo di cane" per evitare di rendere troppo evidente la differenza recitativa.
In particolare nella seconda stagione, Boris si arricchisce di altri personaggi geniali come la ninfomane romana Karin (Karin Proia), nota solo per le sue "cosce cosce cosce", Cristina, figlia di un facoltoso industriale costretta a recitare senza averne la benché minima voglia, e Mariano Giusti (Corrado Guzzanti), piromane psicopatico e violento folgorato dalla visione di Gesù Cristo su Roma - L'Aquila. Corinna lascia la serie per la gioia di tutti per non perdere l'occasione di interpretare una fiction che la vedrà vestire i panni di Madre Teresa di Calcutta, quindi la vedremo sporadicamente fino alla terza stagione. Mentre la seconda non ha avuto lo stesso riscontro rispetto alla prima, la terza stagione si stacca dalle precedenti e si concentra sulla tv di qualità, o meglio di quella che vorrebbe spacciarsi come tale. Parte quindi l'avventura dello spin-off de "Gli occhi del cuore", "Medical Dimension", ma esso non è altro che "Gli occhi del cuore" sotto mentite spoglie. In quest'ultima stagione la star protagonista è Fabiana, attrice in erba ma dal potenziale enorme, nonché figlia di Renè. Un Paolo Sorrentino qualunque deciderà di scritturarla per il suo prossimo film.
Boris è stata in grado di far entrare nel vocabolo comune frasi e battute che l'hanno caratterizzata, dando anche omaggio ad alcuni nomi più noti del panorama cinematografico. Come non si può citare la battuta di Renè "perché a noi la qualità ci ha rotto il cazzo" nei suoi momenti di esasperazione, per la serie la volpe e l'uva. La sigla di apertura e di chiusura della serie è di Elio e Le Storie Tese, anch'essa un vero cult.
Boris non è una serie come le altre. Già può essere considerata di nicchia per l'epoca perché trasmessa su una piattaforma come Sky, dove solo in pochi potevano vederla, ed oggi possiamo dire che rappresenta un vero cult della televisione italiana. Nessun'altra serie potrà mai essere come Boris. I livelli di qualità e di genialità dello show, infatti, difficilmente possono essere eguagliati. È capace di far ridere fino alle lacrime, mostrandoci allo stesso tempo una società subdola, dove non c'è spazio per l'idealismo e per il merito. La comicità non è mai leggera, ma si mescola alla cruda realtà: il ritmo mai monotono e le situazioni al limite del grottesco. La serie è una dichiarazione di resa che trasforma il destino della mediocrità in un atto di spassionata accettazione della vita, un'allegoria di un paese come il nostro. Gli anni di Boris sono gli anni del boom della fiction italiana. Di conseguenza risulta geniale proprio perché è riuscita ad essere una serie poco italiana raccontando una fiction molto italiana, in grado di non cadere in quei cliché e di non assumerne le sembianze. La quarta stagione, arrivata molti anni dopo, non è al livello delle precedenti.