PESCI PICCOLI - UN'AGENZIA. MOLTE IDEE. POCO BUDGET


Prima serie comedy prodotta, ideata e interpretata dalla content factory The Jackal, in associazione con Mad Entertainment, con la regia di Francesco Ebbasta. Gli YouTuber divenuti famosi coi loro tormentoni e parodie sul web per raccontare il disagio di una generazione di oggi, quando si erano cimentati con qualcosa che fosse di durata più lunga di uno sketch (il film Addio fottuti musi verdi) non avevano ottenuto un grandissimo risultato. Anche con la serie Netflix, Generazione 56K, per quanto ben fatta e in cui era presente solo una parte del gruppo, non avevano il centro dell'attenzione. In questo caso invece, complice forse il raccontare il loro mestiere quotidiano sopra le righe, complice la matrice comedy del racconto, complice il formato da mezz'ora degli episodi, il prodotto che mi appresto a recensire è tutt'altro che dimenticabile, confermando che con questa serie i The Jackal hanno dimostrato anche di essere cresciuti. Anzi, la miniserie sfrutta il proprio potenziale nelle brevi sei puntate che la compongono: tra gesti di amicizia, flirt tra colleghi e riti di gruppo, è una commedia agrodolce piena di momenti divertenti, una colonna sonora azzeccatissima e camei di personaggi famosi. 
Sinceramente non mi aspettavo nemmeno di vederla, complice anche il periodo sfortunato in cui contemporaneamente già si parlava della nuova serie di Zerocalcare, ma appena uscita l'8 giugno, ero proprio in cerca su Amazon Prime Video di qualcosa di diverso dall'animazione e che magari mi facesse ridere allo stesso modo e ho potuto investire una serata per vederla tutta di fila, senza accusare alcun tipo di stanchezza. Ci si domanda perciò a chi possa essere venuto in mente di far uscire nello stesso momento uno show altrettanto valido, che non avrebbe mai avuto la possibilità di poter competere in maniera paritaria con Zerocalcare, ma che ci ha provato comunque e cavandosela abbastanza bene.

Pesci piccoli - Un'agenzia. Molte idee. Poco budget (il titolo già dice tutto) mostra le vicissitudini quotidiane di un'agenzia nella periferia di Napoli (e non al centro, come Call My Agent Italia faceva con Roma) che deve soddisfare clienti piccoli pur avendo delle idee forse molto più grandi. Una situazione che molti di noi che lavorano nella comunicazione (ma non solo) possono aver vissuto: dover accontentare clienti piccoli eppure egocentrici e fuori dalla realtà, dover coinvolgere influencer nostro malgrado, e così via. I ragazzi ci conducono nel mondo degli influencer, degli algoritmi e delle risposte prefabbricate che leggiamo ogni giorno su Facebook e su Twitter come solo loro sanno fare: con un'ironia e un'efficacia difficilissimi da eguagliare altrove. Lavorare nel mondo della comunicazione oggi equivale, quasi sempre, a scendere a patti con il diavolo: Pesci piccoli si fa beffe di tutte le intolleranze della comunicazione di oggi, mettendole alla berlina ma allo stesso tempo celebrando il lavoro di squadra, dal karaoke del venerdì sera ai balletti mattutini su TikTok fino alla bowl delle merendine. Dunque i The Jackal si muovono attraverso le classiche trovate che i dipendenti inventano ogni giorno per far passare il tempo e un'onda di creatività che li porta per la prima volta a mettersi in discussione e a dimostrare di che pasta sono fatti. Serviva, però, una storia forte e i The Jackal l'hanno scovata introducendo un elemento esterno al loro team, nella realtà come nella finzione: Martina Tinnirello, totalmente esordiente e riuscita nel ruolo di Greta, la nuova responsabile della filiale, apparentemente rigida e incorruttibile, poiché ufficialmente promossa ma in realtà declassata a quel ruolo dalla sede centrale, in stile Benvenuti al Sud, dopo uno sbrocco con un cliente di peso (Achille Lauro, forte del suo accordo con Amazon), che deve scontrarsi con un modo di lavorare molto più easy e familiare (omaggiando The Office). 
La serie inizia proprio durante una riunione, tra i membri della sede centrale dell'agenzia "Tree of Us" e il menzionato cliente, testimonial per la prossima campagna pubblicitaria di un telefono. I professionisti dell'agenzia si presentano tutti con delle definizioni in "inglese comunichese": art director, senior copy, color match analyst, junior assistant, content manager. Achille Lauro propone un cambio nello spot, e ha un diverbio con la direttrice creativa - anzi, "creative director" - del progetto, che gli dà uno schiaffo. Greta viene mandata via dalla sede centrale e "mobbizzata" con una falsa promozione che consiste nel nominarla direttrice creativa di un'altra sede di "Tree of Us". Una sede periferica, provinciale (in realtà la serie è stata girata a Napoli), dove l'agenzia non ha grossi clienti, ma appunto "pesci piccoli". L'impatto tra Greta e questa agenzia non è dei migliori: lei è fredda, cinica, mentre gli altri sono un gruppo di persone affiatate, solidali, calorosi. Qui deve fare i conti con un microcosmo di regole strambe, fissazioni assurde e tradizioni altrettanto strampalate, con nuovi problemi che si presentano: gestire influencer mitomani, brand sfigati ma esigenti, e soddisfare le richieste della sede centrale dell'agenzia. Ovviamente col tempo entrambe le parti impareranno qualcosa l'una dall'altra per lavorare meglio e far funzionare maggiormente l'agenzia: Greta si scioglierà e ammorbidirà un po' capendo l'importanza del valore umano nell'ambiente lavorativo, mentre gli storici del team Fabio Balsamo, Gianluca Fru, Aurora Leone e Ciro Priello dovranno imparare a responsabilizzarsi mentre affrontano anche alcune storie amorose e personali. Le personalità dei protagonisti sono le stesse che già conosciamo, tramite YouTube, ma le uniche eccezioni sono forse quelle di Ciro e Aurora. Il primo propone un ruolo inedito, quello di un impacciato e tontolone videomaker, mentre Aurora è forse l'unico personaggio ad avere una propria profondità e complessità, complice anche una sottotrama sentimentale che però fatica ad appassionare. Così quando i due si trovano a dover curare un obsoleto spot su degli assorbenti, la loro creatività fresca, parodistica e onesta viene fuori ottenendo subito ampi consensi. L'evoluzione dei personaggi è leggera, quasi impercettibile, e prosegue molto lentamente nel corso dei sei episodi. L'esempio lampante è Fabio, che riconsegnando le chiavi dell'appartamento alla propria ex sembra essere pronto ad una nuova vita. Un evento insignificante ai fini della trama, assolutamente fondamentale per il personaggio. 
Alcune trovate risultano efficaci alla risata, come Giovanni Muciaccia che prepara con amore le piadine per i pubblicitari ed Herbert Ballerina che fatica a "scivolare" sul parquet come si converrebbe ad un influencer. La serie, però, non è una sequela di gag fine a sé stesse - come spesso capita agli YouTuber che provano a fare qualcosa di più costruito e strutturato - bensì ogni episodio continua la trama principale e ha una sua storyline episodica e tematica. Quale Millennial non ha sperimentato almeno una volta il burnout lavorativo di Greta, i drammi sentimentali di Fabio (mollato dalla fidanzata da cui non riesce ancora a staccarsi emotivamente), gli amori poco ricambiati in ufficio come Aurora? Pesci Piccoli diverte facendoci ridere in primo luogo di noi stessi.


L'inserimento di Greta in un nuovo contesto è la linea narrativa principale di una miniserie che, tuttavia, sembra quasi l'annuncio di una serie: recuperando e aggiornando forme e formati della sitcom tradizionale (pochi ambienti ma più punti di ripresa, coralità focalizzata su alcuni soggetti, puntate chiuse con linea narrativa orizzontale), gli autori hanno voluto esplorare ancora una volta le contraddizioni di una generazione, individuando nel mondo del lavoro sogni e realtà. In questo caso c'è una scapestrata agenzia di comunicazione, che si occupa di digital e social per brand provinciali e influencer improbabili. Un mondo funzionale oltreché simbolico, certo, perché permette ai personaggi di interagire con figure effettivamente "tematiche" ma anche di far emergere l'estro creativo e l'arte di arrangiarsi, il desiderio del successo e la frustrazione rispetto al mancato riconoscimento. Non potevano mancare, infatti, come in tutte le comedy che si rispettino, le guest star che vengono ovviamente dal mondo Prime Video ma non solo: Herbert Ballerina, Achille Lauro, Giovanni Muciaccia, Gabriele Vagnato, Valentina Barbieri e Mario "Il Ginnasio" Terrone. 
Tuttavia, Pesci piccoli sembra cercare continuamente una via nella forma (le interviste, la camera a mano, l'impronta del falso documentario), nel contenitore (un ambiente di lavoro), nei personaggi (infantili fino al cinismo, eccentrici nella loro ordinarietà). E quando è la stessa Aurora Leone, nel quarto episodio, a fare una tirata contro un video dell'agenzia copiato da un competitor - qui di nuovo l'omaggio a The Office con tanto di citazione - ci chiediamo se Pesci piccoli voglia essere un omaggio da fan, un trattato per cultori, un atlante citazionista, o il tentativo di trovare una cifra più compatta e propria. Ed è proprio il monologo di Fabio dello stesso episodio a dire tutto, quando spiega la differenza tra trarre ispirazione e rubare, proponendo come esempio il divano di Marione. Dunque la serie è un continuo omaggio a film e serie famose: lo stesso Fru, armato di microfono in una sequenza irresistibile, pronuncia la frase "il pavimento diventa lava", come a ricordarci New Girl. Potremmo addirittura rivederci qualcosina di Boris, con una sottile e non pretestuosa critica al mondo delle piccole agenzie di comunicazione e agli spot tv oramai obsoleti. 
Alla fine il divertimento è fuor di dubbio, il ritmo incalza, la voce di Fru che fa da commento interno è un'idea carina, la commistione con elementi più malinconici regge (la friendzone che subisce Aurora, lo spaesamento del Marione di Dino Porzio, l'episodio con Nonna Lia), il repertorio musicale indovinato (A mano a mano di Rino Gaetano, Giudizi universali di Samuele Bersani, Affogare di Giorgio Poi). 
Se è vero che il personaggio più riuscito è quello di Aurora, va citata se non altro l'espressione facciale di Fabio Balsamo, con il suo balbettio, pronta a suscitare immediatamente una risata. E se l'ufficio dell'agenzia pullula di esseri ambigui macchiettistici, come Marione armato di Mariofono, un plauso va anche a Fru, un personaggio tanto colto quanto totalmente incapace di esternare affetto, con un approccio verso la vita talmente cinico che quasi sconfina con la sociopatia. 
Non bisogna, dunque, fermarsi al primo episodio che sembra non dirci niente di che: già nel secondo episodio rispetto al primo si vede un maggior lavoro di fluidità e coesione a livello di scrittura e di regia, e Pesci piccoli continua spedita così, tra omaggi e citazioni al mondo della comicità, grazie alle sapienti mani di Francesco Ebbasta, storico co-fondatore dei The Jackal. E se la sua regia risulta anch'essa cresciuta, come il gruppo stesso, anche alla scrittura bisogna dar peso: fresca, credibile, pulita. Nessun giro di parole. Nessuna esagerazione. Anche la battuta più assurda e la situazione più surreale hanno una loro coerenza. Infine, ci sono gli attori, sempre collaudati tra loro. Alcuni più espressivi, altri più concentrati, altri pronti a fare sempre black humour mai fuori posto. Dunque il talento c'è. Un po' piratesco, un po' sciacallo, un po' vecchia scuola di Youtube. Ma funziona.  

Con Pesci Piccoli, i The Jackal dimostrano di essere semplicemente dei fuoriclasse. Sono stati i primi, ormai più di 10 anni fa, a dettare un nuovo modo di fare intrattenimento. Per arrivare a questo risultato hanno fatto la sola cosa che bisognava fare: sperimentare e capire cosa piace al pubblico, anche sbagliare e rialzarsi; dalle web serie al film e alla tv hanno dimostrato di saper far ridere, cosa non scontata, girando una piacevole serie a Napoli senza bisogno di parlare di camorra. Hanno realizzato una comedy corale di sei episodi, forse troppo brevi, coerente perché sa intrecciare diverse storyline e che ci regala tre ore di spensieratezza e risate in questi giorni estivi per staccare dai ritmi frenetici lavorativi, dimostrandoci che un'altra comicità, oltre la retorica, è possibile. In conclusione, possiamo dire che Pesci Piccoli dei The Jackal non è una serie rivoluzionaria, e non ha assolutamente la pretesa di esserlo. È così leggera e divertente che mette quasi la voglia di vedere un eventuale seguito (come dice Fru in post credit, "se ce la fanno fare", bucando lo schermo con uno dei suoi tipici exploit).