Siamo giunti al finale. Saul Goodman l'abbiamo conosciuto in
Breaking Bad, ed era un certo tipo di personaggio. Chiassoso, pacchiano,
avvocato dei delinquenti, capace di riciclare denaro e far sparire gente. È
quel Saul che riaffiora in quella puntata, quello che ha una casa con un
"trono" dorato, che si intrattiene con prostitute, che vive
costantemente sopra le righe, quasi in un delirio di intoccabilità e
onnipotenza. Quello che pochi si sarebbero aspettati all'inizio di questo lungo
percorso è quanto importante e narrativamente meraviglioso potesse essere il
"viaggio" nell'evoluzione di un personaggio che, a dirla tutta, nella
serie originale sembrava la classica macchietta da "linea comica".
Da
Breaking Bad a Better Call Saul, dalla dipendenza sulla droga a
quella sulla truffa.
Better Call Saul (recensione della serie qui) è riuscito nell'impresa - mai facile
- di accompagnare gli spettatori verso un futuro già noto, in cui i personaggi
comuni sono già delineati nella personalità e nei destini. Riuscire a farlo
mantenendo la tensione altissima e un gran numero di sorprese è la
testimonianza della capacità degli autori Vince Gilligan e Peter Gould di
scavare all'interno dei personaggi e di mettere sullo schermo con una chiarezza
cristallina i loro pensieri, le loro emozioni, le loro evoluzioni. È così che
all'inizio conosciamo un Jimmy arruffone e portato alla scorciatoia, ma
sostanzialmente buono, fragile e lontano dal cinismo e dalla parlantina di
Saul. Lo definisce in modo perfetto suo fratello Chuck: "Non c'è niente
di malvagio in Jimmy, solo che ha la propensione a fare cose terribili con
finalità che appaiono quasi nobili". È esattamente così, il primo
Jimmy, uno per cui il fine giustifica quasi sempre i mezzi, e il fine è
tipicamente qualcosa di moralmente accettabile se non proprio
"giusto". Per far scavallare questo Jimmy in quel Saul, serviva un
motore, un complice, qualcuno disposto a scendere la china insieme a lui.
Inaspettatamente, questo ruolo lo interpreta Kim, altro personaggio di livello
assoluto, che nelle prime stagioni sembrava rappresentare l'angioletto, un
punto fermo nella vita di Jimmy, capace di tenerne a freno le pulsioni, ma che
di puntata in puntata - specialmente nelle stagioni finali - si rivela essere
invece il diavoletto che spinge di fatto Jimmy verso Saul, al punto che alla
fine anche lei ammette di non riconoscerlo più. Parte da lei la sequenza di
eventi mozzafiato di quest'ultima stagione: il piano per rovinare Howard, in
ragione di una vendetta per cui lei è disposta a sacrificare tutto, non
convince del tutto Jimmy. Un Jimmy che ancora nutre dubbi, che cerca di restare
appeso a quel po' di bontà che lo aveva sempre caratterizzato, preoccupato
comunque dalle cose che ha vissuto, ma troppo legato a Kim per esprimere
pienamente i suoi pensieri. E quando lo fa, nel momento in cui i piani non si
concretizzano, invita la moglie a lasciar perdere, a proseguire nel suo
viaggio, a prendere al volo una via d'uscita che Kim invece rifiuta.
Nella
seconda parte della stagione il crollo di Kim, di fronte al gelido sorriso di
Lalo Salamanca, creduto morto, rappresenta la rapida discesa all'inferno di un
personaggio che fino ad allora era una roccia, nel mondo di Better Call
Saul. Lalo Salamanca è un personaggio capace di incenerire anche noi sul
divano con i suoi sorrisi tanto ampi quanto terrorizzanti. La sua faida con
Gustavo Fring è un incontro di boxe fatto di colpi e pause, di tattica e di
studio. La sua morte non era qualcosa di inaspettato, a differenza di quella di Howard, che c'ha lasciato a bocca aperta, ma c'ha terrorizzato letteralmente, dopo una prima parte abbastanza lenta. E che dire di Nacho Varga, tragico personaggio schiacciato tra due
forze che non riesce a gestire, e quindi destinato a pagare il prezzo più alto?
È con l'assenza di Kim, a seguito del nono episodio, come punto di
equilibrio nella vita di Jimmy, che Saul prende il sopravvento, si sviluppa,
diventa il personaggio che abbiamo conosciuto in Breaking Bad. Nella
linea temporale di Breaking Bad, sappiamo cosa succede quando Jimmy
ignora il consiglio di Mike e va a incontrare Walter White a una fiera
scientifica scolastica. Il legame con Walt fa di Jimmy un uomo molto ricco, ma
manda all'aria la sua vita. Per molti, l'undicesimo episodio "Breaking Bad" sarà un episodio molto discusso grazie al ritorno di Bryan Cranston e Aaron
Paul nei panni di Walter White e Jesse Pinkman. Sebbene sia comprensibile la
gioia di molti per il ritorno di questi personaggi iconici, il loro cameo qui
sembra superfluo. Rivisitare la coppia durante i primi giorni della loro
operazione, mentre bisticciano su uno dei punti di contesa preferiti, il
camper, sembra un puro fan service. Molto più interessante, invece, il modo in
cui l'episodio "Breaking Bad" ha lentamente trasformato Gene Takvoic in Saul
Goodman. Dopo la rapina al centro commerciale, Gene usa Jeff e il suo amico per
eseguire piani di furto d'identità ai danni di consulenti finanziari, facendoli
ubriacare e poi drogandoli nel taxi di Jeff mentre tornavano a casa, in modo da
potersi introdurre facilmente nelle loro abitazioni e rubare informazioni
riservate come numeri di carte di credito, registri di investimenti e fiscali,
estratti conto e password personali. A Gene basta un solo colpo per tornare in
gioco. Le cose si mettono male quando l'amico di Jeff si rifiuta di continuare
con il loro attuale giro dopo aver scoperto che uno degli uomini ha il cancro.
Lo sconvolgimento che ne deriva mette in guardia la madre di Jeff dai loro incontri
notturni. Un elemento chiave di questo episodio si verifica all'inizio, quando
Gene chiama Francesca, la sua vecchia assistente, ad Albuquerque per avere informazioni sulla sua vecchia
squadra e sulle sue proprietà. Riceve cattive notizie su quasi tutti i fronti,
finché Francesca non dice che Kim ha chiamato e chiesto di lui.
Dopo le
esperienze della serie originale, dunque Saul fugge in Nebraska e diventa Gene
Takavic, un triste e anonimo impiegato della catena di pasticcerie Cinnabon, a
Omaha. Terrorizzato dall'essere riconosciuto, questo "terzo Jimmy" si muove con
circospezione, con sospetto, evita qualsiasi tipo di sovraesposizione, fino a
che, appunto, viene riconosciuto, e Saul ritorna lentamente, ma
prepotentemente, a prendere il sopravvento. L'ultimo episodio, dal titolo "Saul
Gone" (in italiano "Chiamavano Saul"), mischia ancora una volta
passato e presente o, meglio, quel futuro delle stagioni precedenti ora
diventato presente del racconto: in poche parole il post-Breaking Bad. Un'ora
e nove minuti in cui c'è tutto l'umore di Better Call Saul. Marion - madre di Jeff - ha
capito chi sia veramente Gene ed avverte la polizia: per Gene/Saul/Jimmy inizia
la fuga che dura poco. I poliziotti lo rintracciano in un cassonetto
dell'immondizia. Per lui sembra non ci sia più nulla da fare. Con la sorpresa
finale della presenza in aula di Marie Schrader, la vedova di Hank, Saul,
rispolverando tutto il suo talento nell'ottenere il meglio anche dalle
situazioni più difficili, riesce a patteggiare una pena di soli sette anni, a
fronte di una serie di reati per cui è accusato che gli sarebbero costati il
carcere a vita. Prova a migliorare la pena garantendo nuove ammissioni sul
presunto suicidio di Howard, ma arriva tardi: scopre che Kim ha già confessato
la verità su come sia morto il suo ex collega alla moglie di Howard, che ora
sta valutando se intentare una causa civile contro di lei, togliendo tutto ciò
che ha e che avrà. Decide, allora, di garantire una nuova dichiarazione contro
Kim, pur di assicurarsi nuovi benefici in carcere. Estradato ad Albuquerque,
Saul cambia la sua versione dei fatti: se davanti agli avvocati federali aveva
detto di aver lavorato per Walter White, solo per paura di ciò che gli avrebbe
potuto fare se non avesse accettato, davanti al giudice invece ammette di
averlo fatto per vantaggio personale e per tutti i soldi che avrebbe
guadagnato. L'avvocato ritira anche quanto detto su Kim e sul suo
coinvolgimento nella morte di Howard: era solo un modo per spingere la donna a
presenziare in aula. Kim, dice Saul, tra i due è stata l'unica ad avere il
fegato di andare avanti con la sua vita, mentre quello che è scappato da tutto
è stato lui. Un'ammissione, quella di Saul, che si chiude con un ricordo del
fratello Charles ed una richiesta finale: quella di non chiamarlo più Saul, ma Jimmy.
Jimmy McGill. Il risultato di questa confessione è che la pena di Jimmy passa
da sette ad ottantasei anni: sul pullman che lo sta portando in carcere gli
altri detenuti lo riconoscono ed iniziano ad urlare "Meglio chiamare Saul",
in segno di rispetto nei suoi confronti e di quanto fatto a tutti i criminali
che ha difeso. A sorpresa riceve una visita da Kim, che riesce a spacciarsi
per suo avvocato, grazie alla sua vecchia tessera dell'ordine che, a quanto
pare, non riporta la data di scadenza. I due condividono una sigaretta come ai
vecchi tempi.
Bob Odenkirk ci regala ancora una volta un'interpretazione
favolosa del suo personaggio, dei suoi conflitti, delle sue contraddizioni.
"Allora sei sempre stato così", gli dice a un certo punto
Walter White in un cameo nell'ultimo episodio. Di certo, l'apparenza di Saul è
quella di un uomo senza scrupoli capace di tutto di fronte alla possibilità di
avvantaggiarsi e di guadagnare. Ma c'è anche Jimmy, che ha una sua etica, che
rispetta e ama Kim, che a modo suo vuole bene a suo fratello, per quanto questi
faccia di tutto per rendersi irraggiungibile. C'è anche Gene, che affiora
quando tutto sembra perduto, e si preoccupa dei turni al Cinnabon mentre tutto
attorno sembra crollare. La personalità di Saul, riemersa dai timori di Gene in
cui era stata relegata, regala un ultimo strappo verso il finale che forse è un
po' fuori fuoco e poco credibile, perché la nuova vita di Jimmy sarà anche
stata grigia e monotona, ma in fondo era ragionevolmente sicura. Saul irrompe e
rimette tutto in discussione. Talmente scaltro da essere sempre un passo avanti
agli altri, finendo però invischiato nella sua stessa arroganza da uomo
insicuro. Talmente furbo da presentarsi davanti il Procuratore Distrettuale
facendo a pezzi la possibilità di un ergastolo, ottenendo il minimo di una pena
scritta a tavolino. "Ti sei fatto beccare così!", si ripete
nella cella del commissariato. Jimmy McGill, Saul Goodman e - in misura minore
- Gene Takavic sono in fondo l'espressione delle diverse ambizioni e delle
diverse nature di un personaggio incredibilmente sfaccettato e profondo che Bob
Odenkirk ha saputo portare sullo schermo in tutte le sue sfumature,
accompagnandoci in un viaggio narrato e realizzato in modo semplicemente
incredibile. Anche la presenza annunciata la primavera scorsa di Bryan Cranston
ed Aaron Paul (presenti in differenti scene dal terzultimo all'ultimo episodio)
sono state calibrate non per essere semplice fan service, ma per essere,
piuttosto, al servizio del personaggio di Saul Goodman.
Dopo assurdi raggiri da
legal drama, Better Call Saul ha colto l'occasione di fare di più,
arrivando a regalarsi ed a regalare al pubblico gli ultimi quattro episodi
finali quasi interamente in bianco e nero e con una sempre maggiore attenzione
ai dialoghi, pochi ma giusti. Compresi i flashback, in cui possiamo salutare
un'ultima volta Mike e trovare addirittura una sottotrama sui rimpianti e su
come spendere sette milioni di dollari. È il tema del rimorso a fungere da fil
rouge in tutte queste incursioni nel passato.
La sesta stagione di Better Call Saul conclude la serie toccando vette pazzesche, e non era scontato inizialmente visto che le vicende andavano a inserirsi in una narrazione di eventi e personaggi già consolidata da Breaking Bad. Forse quest'ultima parte indugia un po' troppo sulla risoluzione delle vicende di Gene, mettendo in piedi nelle ultime puntate una nuova linea narrativa utile sì a tirare le fila del personaggio di Jimmy, ma che forse allunga un po' troppo il tutto. Better Call Saul era nato come prequel di Breaking Bad, etichettato prima ancora di andare in onda come una semplice serie derivata, e non da una serie tv qualsiasi, ma da quella considerata da molti la migliore serie tv di sempre.