Grazie a questa miniserie, Netflix ci racconta una
storia vera, senza alcuna pietà, fatta di ingiustizia sociale. Nella piattaforma
streaming americana possiamo trovare molti prodotti che parlano di razzismo,
infatti Netflix non ha mai voluto nascondere la propria appartenenza
politica, soprattutto da quando Trump è diventato presidente degli USA. La miniserie
è composta da quattro episodi che si fanno via via sempre più lunghi in segno
di durata e la storia pone la sua ambientazione iniziale negli anni '80 per poi
spostarsi in anni più recenti. Le situazioni che vengono raccontate iniziano
nel 1989, lontane nel tempo ma così vicine nella narrazione.
La storia che viene raccontata è quella dei "Cinque di Central Park". La vicenda raccontata è quella dello stupro e della violenza contro una giovane jogger newyorchese, Trisha Meili, che rimane in coma per dodici giorni. Nella stessa notte un gruppo numeroso di ragazzini di colore si diverte a spaventare i passanti e fare schiamazzi all'interno del parco, quando cinque di loro fra i 14 e i 16 anni (quattro afroamericani ed uno ispanico) vengono arrestati: Raymond Santana, Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise. I cinque giovani vengono tenuti in stato di fermo e interrogati separatamente per molte ore. Forzati dalla polizia che voleva trovare in fretta un colpevole, i cinque (molti tra di loro si conoscevano appena o non si conoscevano proprio) iniziano ad accusarsi a vicenda poiché sotto pressione dalle forze dell'ordine. Nonostante l'analisi del DNA confermasse che nessuno dei cinque aveva violentato la donna, i "Cinque di Central Park" furono giudicati colpevoli in due processi diversi e condannati a pene carcerarie tra i cinque e i quindici anni (il massimo consentito per imputati minorenni). Quattro di loro finiscono in riformatorio, l'altro ragazzo di 16 anni (Korey Wise) viene detenuto in carcere. Lui voleva solo far compagnia al suo amico Yusef. E di certo tutti e cinque i ragazzi non l'avevano neanche vista Trisha Meili. Li avevano visti i poliziotti che se ne sono fregati del vero colpevole. Il caso destò scalpore anche per la componente razziale del crimine (la vittima era bianca e i sospettati di colore), e fu particolarmente controverso l'intervento di Donald Trump, il quale chiese che lo stato di New York reintroducesse la pena di morte. La svolta c'è stata solo nel 2002 quando un ragazzo ispanico, Matias Reyes, già incarcerato per stupro e omicidio, ammise di aver violentato la jogger, e l'analisi del DNA confermò la sua versione dei fatti. I cinque imputati di allora furono, quindi, del tutto scagionati, e passarono il resto del decennio a citare in giudizio gli accusatori, ottenendo un risarcimento pari a circa un milione di dollari a testa per ogni anno che erano stati in prigione.
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Da sinistra: Korey Wise, Yousef Salaam, Kevin Richardson, Raymond Santana e Antron McCray |
Nel secondo
episodio vengono approfonditi i lunghi processi e le sentenze, che segneranno
la vita dei giovani ragazzi fino alla loro età adulta. Un occhio attento viene
riservato alla parte processuale, durante il quale gli avvocati dei giovani
adolescenti hanno ritenuto il caso come un accanimento razziale. Anche la
componente mediatica è ben presente in questo episodio, durante la quale più
volte viene citato Donald Trump.
I risvolti più recenti vengono narrati negli ultimi
due episodi che capovolgono i verdetti. Vediamo nel penultimo episodio come le vite dei giovani ormai cresciuti sono cambiate: una volta liberi si
imbattono nelle difficoltà a cercare lavoro, a farsi accettare da una società
che li reputa colpevoli e ad essere continuamente emarginati. In particolare solo nell'ultimo
episodio il focus si concentra sul ragazzo lasciato in estrema solitudine: in carcere Korey continuerà
sempre a dichiararsi innocente. Poco consolatorio è il momento in cui sono
finalmente liberati da ogni accusa, poiché il loro riscatto avviene troppo
tardi.
Un caso reale accaduto negli USA, dove il problema della
questione razziale è ancora presente, offre importanti spunti di riflessione. Sembra
proprio che la serie si rivolga all'attuale presidente dell'America, Donald
Trump, denunciando un sistema mediatico e giudiziario fuori controllo.
La colpa dei "Cinque di Central
Park" non è quella di aver commesso uno stupro, ma quella di avere
il colore della pelle diverso da quello dei "bianchi", è quella di vivere
ad Harlem, è quella di essere usciti nella serata sbagliata per divertirsi al
parco, è quella di essere stati condannati da un sistema marcio e corrotto, pagando
per conto di altri; ragazzi giovani privati della loro adolescenza per uno
stupro non commesso ma che segnerà per sempre la loro vita.
La miniserie è caratterizzata
da un'ottima componente artistica e tecnica e, nonostante l'ottima prova di
tutti gli interpreti, fra cui troviamo noti attori come Joshua Jackson (Dawson's Creek) nei panni di uno degli avvocati che andrà ad occuparsi del processo,
Felicity Huffman (Desperate Housewives) nel ruolo della spietata e fintamente
sentimentale detective Fairsten, e Vera Farmiga (Bates Motel) nei panni del
tagliente pubblico ministero, Elizabeth Lederer, che fa condannare i cinque,
alternando in sé stessa dubbi e pregiudizi, a fare la differenza sono stati i
giovani protagonisti, molti di loro alle prime esperienze. Ognuno di loro riesce a
trasmettere la paura, la rabbia e l'incredulità delle accuse che gli vengono
mosse e le loro reazioni, ognuna peculiare a modo suo. Straordinario il
loro spaesamento e nel tutto l'arco degli episodi ci permettono di soffrire
insieme a loro.
When They See Us racconta
un episodio vergognoso per la storia della polizia newyorkese e non si
risparmia nel mostrare la brutalità dei fatti. È un racconto commovente
che mette da parte il genere crime per concentrarsi sull'umanità dei
personaggi. Il prodotto sprigiona forza emotiva portando sullo
schermo drammaticità claustrofobica. La serie soffre soltanto del confronto,
quasi obbligato, con altri prodotti che hanno già raccontato storie simili a
questa, ma nonostante questo ha saputo raccontare qualcosa che risulta già
visto riuscendo comunque a distinguersi e che rimane tragicamente attuale.