Sicuramente la cosa più sorprendente di quest'anno è stata una
serie tv nata come spinoff di un programma comico italiano e basata su una
delle sue gag più elementari. Sto parlando di Sono Lillo e del suo
personaggio Posaman, nato nel programma LOL. Una serie su di lui, intitolata
autoironicamente e autoreferenzialmente Sono Lillo? Che cosa si
inventerà ancora il sistema pur di spremere quattro soldi da qualsiasi briciola
di straccio di idea originale che circola nel mondo della creatività?
Chiamato
a partecipare a programmi televisivi, film, spot e chi più ne ha più ne metta,
Lillo è riuscito ad affermarsi anche tra le generazioni più giovani, quelle di
TikTok e della fruizione di contenuti in streaming. In particolare, il suo
personaggio-supereroe Posaman e la battuta "So' Lillo", entrambi
riproposti anche in LOL, sono divenuti dei tormentoni inaspettati. A partire da
questo enorme successo, con tutto ciò che di positivo e negativo si porta
dietro, nasce l'idea per la serie Sono Lillo. Lillo è stato il vero eroe
di LOL - Chi ride è fuori, al punto da tornare come arma segreta nella
seconda stagione e concorrente nello speciale di Natale.
La serie si trova su Amazon
Prime Video, la stagione è intera, sono otto episodi da mezz'ora e il modo
in cui si chiude mi ha lasciato sospeso: da un lato è un finale perfetto,
dall'altro è il non-finale perfetto per lanciare almeno una seconda stagione,
ed entrambe le possibilità sono intriganti.
Dopo il successo di Posaman, Lillo ne è diventato schiavo,
il mondo lo identifica con il suo personaggio e in qualche modo lo fa anche lui
stesso. Vorrebbe andare oltre, vorrebbe smetterla di finire a spararsi le pose
in costume alle feste dei mafiosi, ma tutto quello che riesce a fare è non
riuscire a fare nulla, almeno finché la moglie Marzia non lo molla, mandando in
frantumi le sue ultime certezze e convincendolo della necessità di cambiare
pagina. E allora Lillo, che tra una comparsata in tv e un evento passa il tempo
a giocare a giochi di ruolo con i suoi amici (guidati da Marco Marzocca),
decide che deve cambiare per riconquistare l'amore della sua compagna: basta
Posaman, ora vuole un lavoro serio, da adulto. Intorno a Lillo Petrolo, detto
Pasquale (nome però che è concesso usare solo a chi è in grande
confidenza con lui), gira tutto un ecosistema complesso e più o meno dipendente
dal suo essere un comico famoso. C'è Agenore (Paolo Calabresi), proprietario di
uno stand-up club che ospita a rotazione una serie di volti noti del genere (da
Valerio Lundini a Emanuela Fanelli) e che è l'ex mentore e amico anche di
Lillo, che sul palco del Kabuki si è fatto le ossa. C'è il suo agente Sergio
(Pietro Sermonti), che è anche il suo migliore amico ma è in fondo prima di
tutto un agente. C'è la famiglia di lui, la famiglia di lei, c'è insomma un
piccolo spaccato, di finzione ma plausibile, della vita privata di una persona
diventata famosa facendo pose buffe in costume, e che proprio da questo costume
viene ormai perseguitato ora che ha deciso di non volerci avere più nulla a che
fare.
Nonostante questo, il suo agente, che riesce ad andare avanti proprio
grazie a Posaman, cerca di far cambiare idea a Lillo, il quale fatica a
liberarsi del personaggio che a lungo ha interpretato. Posaman stesso appare in
più occasioni davanti al protagonista come una sorta di fantasma per fargli
capire che lui gli è necessario, e Lillo fatica a fare a meno dell'ingombrante
identità che è ormai parte di lui a tutti gli effetti. Nel corso degli episodi
di questa prima season, assistiamo dunque a siparietti e battibecchi che si
intrecciano al desiderio di Lillo di cambiare ed alla sua incapacità di
liberarsi del tutto di quella che è una parte del suo io, mentre la sua vita
sembra sempre più divisa tra ciò che Lillo vorrebbe realmente essere, e ciò che
è. Anche la famiglia non sembra assecondarlo più di tanto, fatta eccezione per
il fratello perfetto che soltanto in seguito rivelerà poi un secondo fine.
Infatti, quest'ultimo da subito sembra nascondere qualcosa, e coinvolgerà il
protagonista in una vicenda che lo metterà in serio pericolo. C'è infatti una
sottotrama che coinvolge Cristiano Caccamo, che interpreta il fratello minore
di Lillo, e un mistero riguardante l'azienda vinicola di famiglia.
È interessante come in Italia, dopo Boris, ci sia
stato un maggior interesse verso le comedy meta-televisive. Sono Lillo mostra
una versione sopra le righe dell'attore e comico nostrano, che deve dividersi
tra vita professionale, vita privata sentimentale e familiare, soprattutto dopo
aver inventato il personaggio di Posaman a LOL - Chi ride è fuori. Un
personaggio che da quel momento ha acquisito una sorta di vita propria,
parallela al suo interprete, diventando la sua coscienza e il suo incubo. Il
piccolo grande mondo quotidiano di Lillo Petrolo è fatto di un microcosmo di
personaggi sopra le righe, un po' come in Vita da Carlo di Verdone. A
partire dalla moglie (Sara Lazzaro) che lo lascia facendogli mettere in
discussione tutta la sua vita e le sue scelte. Qui però c'è più freschezza e
intelligenza, almeno dai primi episodi che abbiamo potuto vedere in anteprima.
Si tratta di una serie ispirata alla vita vera che racconta vicende inventate
ma che potrebbero essere reali, perché lo fa con sincerità e con intelligenza,
facendo aderire perfettamente gli attori ai personaggi e i personaggi alle
persone. Una sorta di romanzo di formazione attoriale e personale per il
protagonista che deve (ri)trovare sé stesso, come parallelamente farà la moglie
lontano da lui e vicino alla cognata (Camilla Filippi). A rendere più
internazionale il tutto è anche il comedy club gestito da Agenore. In ogni
episodio, infatti, si avvicendano comici guest star, spesso stand-up comedian
italiani, nei panni di sé stessi, che vengono sistematicamente vessati e fatti
fallire sul palco da Agenore, ex comico fallito per un misterioso e sedicente
incidente in Cina di cui non vuole dare maggiori dettagli, invidioso del loro
vero talento. Il locale gestito da Agenore non è solo una piacevole parentesi,
ma si rivela un vero e proprio microcosmo nel quale seguiamo le performance di
diversi comici famosi, tra i quali Valerio Lundini, Edoardo Ferrario, Emanuela
Fanelli, Caterina Guzzanti, Corrado Guzzanti, Stefano Rapone, Michela Giraud, Maccio
Capatonda e Serra Yilmaz. I loro spettacoli aprono nel vero senso della parola
le danze di ogni episodio e, dopo essersi esibiti per qualche minuto, li
seguiamo mentre cercano suggerimenti da Agenore, per siparietti sempre riusciti
che danno il via nel migliore dei modi agli eventi che seguono. C'è l'agente di
Lillo, Sergio Locatelli, che dà biglietti da visita anche a una pianta o a una
bicicletta, per riuscire a inquadrare il personaggio, proponendo ruoli sempre
più assurdi al protagonista. Ci sono poi il fratello minore di Lillo,
interpretato da Cristiano Caccamo, rimasto nell'azienda di famiglia che vuole
raggirarlo a tutti i costi, e Sante (Marco Mazzocca), migliore amico di Petrolo
anche nella realtà, un bambino cresciuto rimasto bloccato al giocare insieme ai
giochi di ruolo e simili. Quest'ultima forse è la parte meno riuscita ma che
non pesa nel quadro generale del risultato comico. Il comico non è solo in
questa lunga corsa e a fargli compagnia c'è il suo alter-ego Posaman e la sua
battuta ormai diventata famosa dopo il programma, "So' Lillo".
Sono Lillo
fa ridere, qui e là anche sguaiatamente, ma questo me l'aspettavo, cioè, la gag
era buffa e se a qualcuno è venuto in mente di costruirci attorno una serie il
minimo sindacale è che anche la serie venga fuori buffa. Ma non è tanto questo
il punto, quanto il fatto che Sono Lillo è bella. È ricca e originale, è
scritta bene e con un'enorme cura nella costruzione delle dinamiche tra
personaggi; è la storia di un tizio e di una crisi di coppia ma ne viene fuori
come un'opera corale, che parla del mondo della comicità, della stand-up.
Pasquale Petrolo, detto Lillo, si è inventato Posaman in un contesto tutto
sommato sperimentale ed è lui che ha avuto l'idea di prendere questo spunticino
e costruirgli attorno una storia e anche una mitologia. Non so se "autobiografico" sia il termine corretto, ma immagino che il successo
parzialmente inaspettato di LOL e del suo Posaman, in particolare, abbiano
ispirato a Lillo tutta una serie di riflessioni sull'identità. Posaman è
un'ombra che gli grava sulla spalla e che continua a ripetergli che hanno senso
solo se sono insieme, che quello che il protagonista vede come un peso di cui
liberarsi è, invece, parte integrante della sua identità, e bisogna imparare a
conviverci, non seppellirla.
In Sono Lillo viene mostrato il vero valore
di Posaman, cosa che magari agli altri non era noto prima, e si fa di tutto per
creare un vero e proprio scontro tra lui e il suo alter-ego. Geniale questo suo
entrare in confidenza con l'altra metà di sé, arrivando persino a prendersi in
giro, nonostante l'intento sia sempre quello di liberarsi di Posaman. E sì, il
livello dei discorsi è questo, Sono Lillo parla di un comico che ha
fatto successo grazie a un buffo costume, e nel farlo filosofeggia, e a volte,
quando meno te lo aspetti, ti colpisce duro alle ginocchia e arriva anche a
farti sudare gli occhi.
C'è anche il fatto che Sono Lillo, che è la
storia di un tizio che vuole convincere la moglie di essere cambiato e a
tornare con lui, è anche una serie che parla di supereroi, e lo fa con rispetto
e affetto, non semplicemente per sfruttare il fatto che ultimamente i supereroi
vanno benino. Cioè, i discorsi sull'identità e su quanto un costume buffo possa
diventarne parte integrante sono roba da film filosofeggiante supereroistico.
In generale, il protagonista dimostra di sapere ridere in modo intelligente di
sé stesso. Ora toccherà farlo agli spettatori. Insomma Sono Lillo ha
intelligenza e soprattutto la voglia di giocare: e mentre incarna perfettamente
lo spirito di Posaman (simbolo di quei personaggi - a fumetti, di cinema, in tv -
che sotto il costume non hanno nulla), fa lo slalom tra i generi restando
fortemente una comedy, svoltando allegramente tra il dramma romantico e il
thriller di borgata, rendendo la sua serie così perfetta e conclusa in sé
stessa da sperare quasi che non ci sia un seguito.
L'idea alla base di Sono Lillo è quella di ironizzare sull'incubo peggiore di un artista comico: restare ingabbiato in un personaggio per il resto della carriera. Capita a tutti i comici che, in cerca del grande successo, propongono al pubblico figure e frasi tormentone sicuri che, passata la sbornia, lo show business continuerà a cercarli anche se proporranno altro. Ma raramente è così. E Sono Lillo spiega questo "retroscena", sempre in chiave leggera e mai facendo alcuna morale. Il Pasquale Petrolo raccontato nella serie è, di fatto, stufo di essere associato a quel Posaman che solo due anni fa ha regalato sia a lui che a LOL quella popolarità inaspettata con cui, però, ora deve fare i conti. Il che vuol dire essere chiamato solo per Posaman, rovinarsi la vita privata per Posaman, mettere in dubbio le proprie capacità per Posaman. Senza neanche girarci troppo intorno, Petrolo ha ideato un serie in cui dice "Non ne posso più", scherzosamente ma neanche troppo.
Petrolo, in realtà, sceglie un cast che sa quel che fa, che conosce i tempi comici
e che ama mettersi in gioco. Ma, allora, cos'è che non funziona? Il difetto
principale di Sono Lillo è che manca di quella caratteristica che
dovrebbero avere tutte le serie comedy, ovvero l'irriverenza. Il che non vuol
dire essere offensivi, ma sapere infrangere qualche tabù e raccontare il
quotidiano prendendosi la libertà di scherzare su tutto, sempre con l'obiettivo
di far scattare una risata. Purtroppo, in Sono Lillo la risata fatica ad
arrivare, nonostante la confezione curata ed il già citato cast all'altezza
della situazione. L'originale premessa della serie, così come la sua volontà di
scardinare e rivelare quei meccanismi della comicità all'italiana di una volta,
non sono seguiti da una vena comica capace di arrivare al pubblico e generare, appunto,
momenti davvero divertenti. Senza irriverenza, Sono Lillo non è neanche
una comedy vera e propria, ma un esperimento che ha cercato di massimizzare un
tormentone nato quasi per caso in qualcosa di più. Ma nonostante tutti gli
sforzi profusi e che vanno riconosciuti, resta un po' di delusione: Posaman non vale
una serie tutta per sé.
Sono Lillo è purtroppo una serie riuscita a metà, divisa, come il suo protagonista, tra la ricerca di una storia che possa smarcarsi dai tanti titoli simili, e cliché tipici del genere. Sono Lillo, considerando quanto scritto, non possiamo dire che sia un progetto completamente riuscito, e difficilmente riuscirà a coinvolgervi grazie alla sua storia o alle tematiche affrontate. Nonostante ciò, la serie a tratti diverte ed intrattiene e, se amate il personaggio di Lillo, probabilmente, al netto dei difetti, apprezzerete il risultato finale chiudendo un occhio sul resto.