Un mese fa è
tornata su Netflix dopo una lunga assenza Black Mirror. Iniziato nel 2011
riscuote successo solo dopo il 2016 quando per la prima volta viene prodotta
una stagione dal colosso dello streaming. Si tratta di una serie antologica che
si concentra prevalentemente su storie di fantascienza/mistero/thriller spesso
cupe e che tendono a commentare il rapporto dell'umanità con la tecnologia, sia
che si tratti di quella attuale che di quella futuristica che ancora non esiste
(ma che un giorno potrebbe esistere). L'avevo quasi dimenticata, a dire la
verità, anche per il fatto che è stata la prima serie che ho deciso di
recensire in questo blog più di tre anni fa.
Con le sue puntate
auto-conclusive che, immerse in un mondo distopico ispirato dalla realtà
contemporanea, affronta le conseguenze di un incontrollabile progresso
tecnologico, spesso rappresentato attraverso la follia collettiva di una
società degenerata e instabile.
Negli ultimi anni, complice una quinta stagione
non particolarmente apprezzata e, soprattutto, una graduale mancanza di
innovazione, Black Mirror ha inevitabilmente perso parte del suo crudo e
inquietante appeal iniziale. Nella sesta stagione, tuttavia, le cose sono un
po' diverse: gli elementi fantascientifici sono stati ridotti in modo
sorprendente. Tre dei cinque episodi sono ambientati nel passato, uno sembra
essere nel presente e solo uno sembra essere futuristico. Un cambiamento che è
stato criticato dai fan della serie che da qualche tempo sembra aver perso la
sua reale attrattiva. Il tutto si traduce in una stagione di Black Mirror
piuttosto strana, perplessa e a volte interessante.
Joan is
Awful 06x01
Sin dalle
prime battute, la serie mostra ancora una volta quell'affascinante e instabile
connessione tra realtà e finzione, tra incubo e follia. A partire dall'episodio
inaugurale, vengono in gran parte approfondite le tematiche e le modalità
attraverso le quali Charlie Brooker critica la società contemporanea.
La
protagonista del primo episodio è Joan, una donna ordinaria con una vita comune:
un'impiegata di una società del ramo tech che passa
la propria giornata come al solito, annoiata dalla propria vita coniugale e
lavorativa, dove forse non è la persona più amorevole e amichevole di questo
mondo, per poi sfogarsi con la propria terapeuta, poiché "non si sente
protagonista della propria storia". Al termine di una difficile
giornata di lavoro, scopre con orrore che la sua vita è rappresentata, in modo
estremamente dettagliato e senza il suo permesso, in una nuova serie tv su un
servizio di streaming "Streamberry" (evidente parodia di Netflix) che la
fa sembrare peggiore utilizzando una Salma Hayek falsificata. Ogni notte verrà
trasmesso un episodio e ogni aspetto della vita di Joan è sotto gli occhi di
tutti, circondato da sguardi opprimenti e inquisitori. La vita di una persona
si trasforma in uno show televisivo, un banale prodotto di fiction che traspone
sullo schermo, romanzandola, la realtà di tutti i giorni, in modo non troppo
differente dall'ossessivo universo-reality di The Truman Show. La causa
di tutto è un'innovativa I.A., in grado, attraverso le informazioni estrapolate
dagli smartphones, di sviluppare prodotti potenzialmente illimitati in
brevissimo tempo, rilasciandoli poi sulla piattaforma streaming per
intrattenere un pubblico sempre affamato di nuovi contenuti. "Joan Is Awful" torna nel futuro distopico alla Black Mirror e cerca in tutti i modi di
portare avanti una denuncia alle piattaforme di streaming che si vedrà anche in
altri episodi. Verso la fine dell'episodio si arriva ad alcuni punti più
profondi e sconosciuti. Quando Joan e Salma scoprono di essere due versioni
dello stesso personaggio, e che c'è un numero infinito di Joan digitali,
Murphy, Hayek e, in un cameo, Michael Cera sono tutti così bravi da farci
dimenticare il fatto che Brooker sta facendo il suo solito giochetto a
proposito di simulazioni e realtà virtuali. E, proprio come "San Junipero", è
bello che questo episodio abbia un lieto fine. Per il resto, però, non si
tratta di un episodio dal ritmo incalzante, seppur forse il migliore costruito,
con i primi 40 minuti che costituiscono un Black Mirror di buon livello.
Lock
Henry 06x02
In "Loch
Henry" la messa in scena dell'episodio – l'unico ad essere ambientato nel
presente - lascia a desiderare ma il finale è davvero devastante. L'episodio
segue una giovane coppia, Davis e Pia, che si reca in una piccola città della
Scozia dove Davis è cresciuto, con l'intenzione di presentare la sua ragazza a
sua madre e girare una sorta di documentario naturalistico. Il soggetto di
quest'ultimo lo trova mentre è lì e riaffiorano vecchi ricordi su un caso che
sconvolse la cittadina e portò suo padre, all'epoca poliziotto, ad una triste
dipartita. Il racconto, dunque, si fonde con la realtà quando si scopre che una
serie di efferati omicidi, risalenti agli anni novanta, hanno avuto luogo
proprio nella sperduta località scozzese, da quel momento sempre più
abbandonata dal turismo. Il contesto thriller/horror è lo sfondo di una
struttura narrativa estremamente coinvolgente e ricca di colpi di scena, in cui
la tecnologia appare quasi esclusivamente sotto forma di videocamere obsolete e
di vecchie videocassette; la componente distopica "alla Black Mirror" è
tuttavia presente ed è decisamente attuale, simboleggiata dalla volontà di
sacrificare ogni aspetto della propria vita privata per poter trovare il modo
di emergere, di fare carriera, all'interno di un mondo cannibalizzato
dall'irrefrenabile necessità di provare una finta e deplorevole compassione
verso il prossimo. Con "Loch Henry" è evidente l'intento di mettere in
discussione il modo in cui la gente sembra morbosamente affascinata dai veri
crimini, anche a costo di trascurare ciò che vogliono i sopravvissuti o i
parenti delle vittime di un crimine. L'atmosfera è spaventosa, e la storia prepara molto bene il
colpo di scena (i genitori di Davis erano complici dell'assassino). Il finale è
forse un po' affrettato, ma sembra anche più a fuoco rispetto a quello,
decisamente più sciocco, di "Joan è terribile".
Beyond
the Sea 06x03
"Beyond the
Sea" è probabilmente l'episodio più ricco di star, con la presenza di attori
del calibro di Aaron Paul, Josh Hartnett e Kate Mara. Sembra l'episodio più
cinematografico della sesta stagione, grazie a una durata di 80 minuti e alla
necessità di molti effetti speciali, dato che l'episodio è parzialmente
ambientato nello spazio.
In una realtà alternativa degli anni sessanta, due
astronauti Cliff (Aaron Paul) e David (Josh Hartnett) sono impegnati in una
lunga missione spaziale che li terrà lontani da casa per anni. Per rendere meno
complessa la loro permanenza, sono stati ideati due androidi replicanti – con
le stesse fattezze dei protagonisti – in cui i due uomini possono immettere la
loro coscienza per un periodo di tempo limitato. Quando il replicante di David
viene tragicamente "ucciso" insieme alla sua famiglia, Cliff si propone di
fargli utilizzare sporadicamente il suo: le vite dei due uomini si
sovrappongono quindi sullo stesso androide, portando a risvolti inevitabilmente
funesti. La bravura di Aaron Paul emerge in particolar modo nella capacità di
dar vita a due personaggi con caratteri e modi di fare completamente opposti,
intrappolati loro malgrado in un corpo sintetico, incapace di restituire quel
barlume di umanità che la moglie di Cliff (interpretata da Kate Mara) ricerca
spasmodicamente, ed è facile capire che la conclusione avrebbe avuto un impatto
se fosse stata raggiunta prima.
La soffocante atmosfera della nave spaziale è
resa attraverso il lento incedere della narrazione, scandita dalla statica monotonia
dei due astronauti e dalla ciclica ripetitività delle loro azioni quotidiane;
come se lo spettatore fosse costantemente in assenza di ossigeno, gli unici
momenti in cui è possibile respirare sono quelli "terrestri", caratterizzati da
libertà e spensieratezza, da leggerezza e desiderio. A quel punto il pericoloso scambio di
repliche genererà una sorta di torbido triangolo amoroso dalle terribili
conseguenze, mettendoci di fronte all'egoismo umano e alla possessione tossica
maschile, fino alla solitudine che provoca spesso l'ossessione per
l'esplorazione dell'outer space.
L'episodio impiega tantissimo tempo prima di
avviare la trama vera e propria, ossia quando un gruppo di hippie fa strage della famiglia di Hartnett e distrugge il suo surrogato
robot; e poi lavora sulle complicazioni che ne derivano, in particolare quando
Aaron Paul suggerisce al Hartnett di usare il finto corpo dello stesso Paul e
passare del tempo con sua moglie come "pausa" dal dolore, dalla monotonia e
dall'isolamento dello spazio. Sfortunatamente è proprio la durata dell'episodio
un punto negativo, poiché dopo una gloriosa prima parte, la seconda sembra
dilungarsi troppo rendendo la narrazione troppo dispersiva.
Mazey Day
06x04
In "Mazey
Day", quarto episodio di Black Mirror 6, si ripercorre la stessa strada di
un episodio della stagione precedente sul tema della celebrità, ma in modo
diverso così tanto da generare l'episodio meno incisivo della stagione. Le cose
iniziano abbastanza bene: la premessa è incentrata su un paparazzo a corto di
soldi che viene incaricato di scattare una foto a un'attrice problematica,
poiché la stampa parla di una sua possibile dipendenza. La fotografa
protagonista prima lascia la professione di paparazzo per i sensi di colpa, ma
poi finisce per inseguire la celebrità che si ritira in un capanno per fuggire
da un segreto traumatico. L'episodio è ambientato negli anni Duemila e, sebbene
non presenti elementi di fantascienza, analizza i media, l'industria
dell'intrattenimento e il potere della tecnologia (in questo caso, delle
fotografie) di danneggiare in modo permanente la vita di una persona.
L'episodio
si fa portavoce di un'approssimativa critica al mondo dei paparazzi, ormai ben
lontana dall'essere una tematica attuale; o meglio, lo sarebbe stata, se non
fosse che, invece di approfondire il discorso sulla privacy e sulla diffusione
di immagini sensibili che circolano e si moltiplicano in modo incontrollabile
sul web, si sono limitati a raccontare gli stereotipi più banali della
professione, pienamente descritti da personaggi scialbi e privi di una vera e
propria evoluzione narrativa. La parte più contestata è il finale giudicato da molti frettoloso e
arrangiato, dà l'impressione che lo sceneggiatore non sapesse
come concludere la storia in modo adeguato.
Demon79 06x05
È facile
sentirsi in conflitto con l'episodio finale di Black Mirror 6, "Demon79".
È il più divertente del gruppo e presenta una vena di umorismo dark che ricorda
le divertentissime (ed estremamente incasinate) stagioni pre-Netflix.
Come "Beyond the Sea", è forse eccessivamente lungo con una durata di 74
minuti, ma giustifica il superamento dell'ora con una narrazione più
incalzante.
La puntata ritrae la vita di una bistrattata commessa di origine
indiana nel Regno Unito del 1979, periodo particolarmente tumultuoso per gli
immigrati a causa della pressione esercitata dal partito di estrema destra del "Fronte Nazionale". La donna deve affrontare ogni giorno la discriminazione e
gli sguardi quasi schifati di colleghi e responsabili in un paesino britannico,
mentre lavora in un elegante negozio di scarpe. La premessa è intrigante e
segue questa giovane donna che risveglia apparentemente un demone nascosto all'interno
di un talismano (con la rappresentazione del famoso simbolo apparso per la prima volta in 02x02, "Orso Bianco") e che nessun altro può vedere: superata l'iniziale incredulità,
la protagonista da lui viene a sapere che un'imminente apocalisse nucleare può
essere fermata soltanto compiendo tre omicidi nei confronti di tre persone che
se lo meritano, nei successivi tre giorni. L'evoluzione della giovane,
contrariamente a quanto accade in "Mazey Day", è ben delineata e lascia
intendere, sin dalle prime battute, una forte contraddizione intrinseca. I
bizzarri dialoghi con il demone "buono" e inesperto – una citazione al Ryuk di Death Note sembra essere doverosa – accompagnano l'inquietante dilemma morale:
lasciar collassare una società che ti ha sempre disprezzato oppure macchiarsi
di omicidio per soddisfare un ipotetico bene superiore? L'episodio presenta
alcuni degli umorismi e dei commenti sociali che ci si aspetterebbe, ma non c'è
nulla che riguardi la tecnologia o la fantascienza, il che lo fa sembrare forse
troppo strano per un episodio di Black Mirror.
Da un lato i primi tre
episodi ripropongono, con qualche variazione, le affascinanti tematiche che
hanno da sempre contraddistinto l'opera di Charlie Brooker; dall'altro, al
contrario, la strada intrapresa negli ultimi due episodi sembra non avere alcun
punto di contatto con l'elemento chiave della serie: i risvolti di una distopia
tecnologica sono sostituiti da improbabili e (soprattutto) inspiegabili
sottotrame soprannaturali. La comparsa del licantropo in "Mazey Day" è totalmente
illogica, una soluzione fiacca, che non aggiunge nulla ad una vicenda
potenzialmente molto interessante; per quanto divertente, anche la presenza del "diavoletto" Gaap in "Demone79" risulta decisamente fuori contesto per ciò che
la serie ha sempre voluto raccontare. Nonostante questo, i due personaggi
principali, in parte, riescono a farci dimenticare l'eccessiva lunghezza
dell'episodio. Prima
critichiamo l'ossessione per il
true crime e poi andiamo nello spazio, in una versione alternativa del 1969
dove anche solo sapere di essere una copia robotica di un essere umano porta a
conseguenze disastrose e proseguiamo con l'odio per il diverso, saltando verso
10 anni esatti dopo, in cui Black Mirror diventa "Red Mirror",
con la storia di una commessa destinata a compiere cose crudeli per salvare un
mondo che ci tratta come esseri inferiori e quindi, boh, si merita davvero la
salvezza?
Possiamo criticare la serie perché è cambiata, soprattutto l'ultimo
episodio, ma il talismano è una tecnologia antica e, come dice il sociologo
Read Bain, "la tecnologia include tutti gli strumenti, macchine,
utensili, armi, strumenti musicali, abitazioni, abiti, dispositivi di
comunicazione e trasporto e l'abilità attraverso la quale noi produciamo e
usiamo queste cose".
Black
Mirror è ancora oggi
considerata una delle serie più geniali di Netflix, quella più
innovativa, disturbante, quella che ha avuto sempre il coraggio di osare. Ma
oggi, nel 2023, a 12 anni di distanza dal suo primo debutto, Black Mirror
è ancora in grado di stupirci? Se alla fine del primo decennio del XXI secolo
immaginare un futuro dove la tecnologia fosse parte integrante della vita umana
era futuristico, affascinante e allo stesso tempo sconvolgente, oggi diventa
quasi inutile anche solo porsi il problema, immaginare l'inimmaginabile o
qualche sistema di intelligenza artificiale che non sia già stato creato o che
non sia già parte integrante della nostra vita. In un mondo dove la tecnologia
è parte stessa dello stare al mondo, come si può essere innovativi parlando di
tecnologia? Ed è così che ci si rende conto che anche Black Mirror, che ha
sempre superato le colonne d'Ercole, che è sempre andata oltre quel confine in
cui il pensiero umano era solito fermarsi, oggi soffre del grande limite di non
poterlo più fare.