Pochi mesi
fa avevo recensito la prima stagione (qui), consapevole dell'uscita programmata della seconda. Neanche il tempo di vedere l'ultima che Netflix ha
immediatamente deciso di cancellare la serie.
Lo show sviluppato da Erica Saleh - tratto dal libro
bestseller di Karen M. McManus (il secondo volume si chiama One of Us Is
Next - Uno di noi è il prossimo) – sembrava si stesse riprendendo per
il fatto che riusciva a capovolgere le aspettative del pubblico imbastendo un
racconto che si prendeva gioco del suo stesso genere, facendo evolvere i suoi
protagonisti con sagacia fino a spogliarli di quell'etichetta superficiale
tanto cara alla cultura liceale americana e non. Ma in fin dei conti i soliti
teen drama piacciono molto di più.
Non che la prima stagione mi era piaciuta particolarmente ma tratteneva e il colpo di scena finale è stato sorprendente, a
differenza di quest'ultima iniziata sempre bene ma poi è diventata decisamente piatta.
Motivo per il quale c'ho messo sei mesi per recensirla.
Addy, in particolare, continua a vedere il fantasma di Jake
torturarla. Browyn e Nate continuano a respingersi sebbene attratti l'uno
dall'altra, tra di loro ci si mette anche Fiona, l'adorabile – inquietante-
tutor di Nate. Cooper si ritrova ad affrontare gli effetti del coming out, cosa
che ai talent sembra interessare più del suo talento per il baseball.
Già dal
primo episodio della seconda stagione, i ragazzi iniziano a ricevere misteriosi
sms, simultaneamente, da qualcuno che si spaccia per Simon. Il gioco "Simon
dice" ha inizio e ha come scopo quello di torturare il gruppetto: chiunque si
celi dietro questi sms, vuole giustizia per Jake e vuole scoprire chi dei
ragazzi abbia premuto il grilletto. Vi ricorda qualcosa? Sms intimidatori che arrivano in
simultanea, ricatti, suspense: ci sono non pochi ingredienti che fanno di
questo cocktail un mix in stile Rosewood! Non si chiama A, ma colui che si cela dietro il nickname "Simon dice" ne ha tutti i connotati, forse anche troppo. L'intera stagione,
infatti, ruota attorno al tormento del gruppo di protagonisti provocato da tale stalker psicopatico che vuole vendetta per l'omicidio di Jake. A tratti è quasi imbarazzante quanto
questa seconda stagione sembri letteralmente copiata da Pretty Little Liars.
Pensare a quanto mi aveva preso e il desiderio di volerla rivedere da capo,
nonostante i momenti trash, mostra il fatto che potrebbe incuriosire ma anche
stancare.
Nonostante sia basato su un romanzo, sembra copiare e incollare i
fondamenti del genere per dare vita all'ennesimo giallo di facile risoluzione.
L'ennesima storia adolescenziale con gli stessi cliché.
Trama mystery a parte e
solite aspettative tra Brownie e Nate (momento inopportuno quando lui prende in
giro Fiona), la coppia rivelazione è Cooper e Kris, che all'inizio della
stagione scopriamo non stare più insieme – non potendo quest'ultimo sopportare
quanto accaduto a Jake, anche a causa del fidanzato – ma che pian piano,
amandosi ancora, si riavvicinano, tanto che alla fine, l'atleta riesce ad
accettarsi e trova persino il coraggio di presentare Kris al padre, come suo
fidanzato. Ma andiamo al finale.
Dopo aver scoperto l'identità di "Simone dice", ovvero Fiona
(lo so, l'ennesima trovata che non c'entra un cavolo), il Murder Club tenta di
fermarla, ma lei dà fuoco alla barca di Janae, così la polizia finalmente
interviene e la mette in galera. E invece i protagonisti la faranno ovviamente
franca. Se le accuse di
omicidio a carico dei componenti del Club del delitto vengono prosciolte,
essendo accusata Fiona al posto loro, per i cinque la normalità pare un
optional. In particolare per Bronwyn, visto che in un flashforward, vediamo la
polizia indagare su una scena del crimine e tra i reperti scovati, catalogare
la collana regalata proprio a quest'ultima da Nate, come pegno del suo amore. Chissà
se questo sia solo un modo per sviarci o se realmente, sta volta, a pagare le
conseguenze di quanto accaduto, sarà proprio lei. La cancellazione della serie
ci lascia molti dubbi. Sappiamo, inoltre, che Jake nascondeva un segreto che il
fratello Cole sembra voler proteggere a tutti i costi… Ma qual è il segreto di
Jake? Lo stesso che ha spinto Jake a uccidere Simon, il quale ne era al
corrente? Poi ci chiediamo ancora: chi avvelena "Simon dice" mentre si trova in
prigione e, soprattutto, a chi appartiene il sangue sulla scena del crimine
all'interno del liceo di Bayview che vediamo nelle ultimissime scene?
Dopo averci sorpreso con una scrittura capace di rivoltare i preconcetti legati al setting liceale, la serie sceglie improvvisamente di trasformarsi in So cosa hai fatto, un franchise che - in seguito al romanzo originale datato 1973 - ha già ricevuto numerose trasposizioni.
Dopo aver combattuto strenuamente per liberarsi dalle false
accuse di omicidio, i protagonisti si trovano adesso a condividere un terribile
segreto, chiudendosi a riccio per non lasciar trapelare alcun indizio mentre i
sospetti montano contro di loro. Solo l'unità può salvarli dal carcere, ed i
personaggi ritornano a dubitare dei loro complici più inclini alla resa, ma
sembrano farlo senza reale convinzione, essendo ormai legati da un sentimento
di fiducia che trascende la classica amicizia scolastica. Tra le indagini da sviare e la
ricerca del testimone misterioso che li ha visti nascondere il corpo di Jake,
la detective story procede attraverso gravi dimenticanze e superficialità che
sfidano a più riprese la sospensione d'incredulità, con sospetti e prove
inconfutabili messi da parte per poi essere riesumati alla ricerca di un plot
twist improvviso e senza mordente. Lo sviluppo non convince perché ad essere
debole è in primis l'occultamento di cadavere che cancella senza appello
l'accettabile legittima difesa, mentre i ragazzi sembrano dimenticare spesso di
rischiare il carcere quando si concedono frivolezze e divertimenti in barba al
loro burattinaio. L'aspetto
sentimentale, poi, purtroppo
ricade nei più classici stilemi del teen drama, pregno di emozioni spicciole e
di una sessualità superficiale che sembra costruita soltanto per accontentare
lo spettatore più malizioso.
Addy, forse il personaggio che vediamo maturare
maggiormente, è più sviluppato rispetto agli altri; mentre capisce di valere
molto di più di ciò che Jake le avesse fatto credere, Janae prende coscienza
della sua identità di genere, Nate e Bronwyn fanno chiarezza sui loro reciproci
sentimenti e Cooper vive la sua omosessualità senza più nascondersi. Tutti i
personaggi alla fine affrontano i loro demoni, lottano con essi e ne vengono
fuori vincitori, chi più e chi meno. Un personaggio, all'apparenza secondario,
che in questa stagione ha spiccato particolarmente, è poi Vanessa, che da
principale nemica del Club del delitto, si trasforma nella loro più grande
alleata e scopre ben presto di essere molto più che un bel faccino e di poter
aspirare a grandi cose per il futuro.
Un po' come in Pretty Little Liars,
anche i protagonisti del nostro Club del Delitto sfilano sul set. Ognuno con il
suo stile denota di avere una personalità emergente e contemporanea. Anche in
questa stagione di Uno di noi sta mentendo c'è molta inclusività, un
aspetto importante per una serie tv che parla alle nuove generazioni (vedere la
tematica dell'identità di genere nel rapporto tra Janae e Maeve). Ma ancora di
più è il rapporto di amicizia tra Janae e Addy a stupire. E ad insegnarci
qualcosa.
Un altro aspetto positivo di questa stagione è la tematica nel trovarsi
in una relazione tossica: finalmente abbiamo uno sguardo interiore nella
relazione tra Addy e Jake, della quale vengono esplorati i retroscena. Fa
male, fa rabbia, ma serve. E colpisce, perché quello che ha passato Addy si
vede fin troppo, ai giorni nostri. C'è stata un'evoluzione non indifferente nei
personaggi ma quello che più è sembrato reale è stata la reazione di Addy di
fronte alle visioni di Jake, cosa le diceva e come lei lo immaginava.
Ciò che
aveva reso la prima stagione dello show una visione fresca ed intrigante - in
qualche modo coraggiosa nel suo sfidare i leitmotiv del dramma giovanile -
viene ribaltato in questo sequel andando a riproporre in buona sostanza ciò che
è stato già sviscerato nell'oceano di produzioni similari, senza alcuno spunto
di originalità capace di rendere memorabili otto episodi che si accontentano
soltanto di cavalcare l'onda di un pubblico fedele. Così assistiamo alla visione di una
storia che rovina per sempre il futuro di una serie dal buon potenziale,
amareggiando coloro che si erano affezionati a quel gruppetto di amici capaci
di andare oltre le solite apparenze.