Conosciamo Nadia Vulvokov, ovvero la carismatica,
problematica e decisamente adorabile protagonista di Russian Doll, presentata
nel 2019: dall'inconfondibile chioma rossa di Natasha Lyonne, la serie Netflix,
composta da due stagioni, l'ho divorata qualche mese fa in un momento di
desiderare qualcosa di nuovo. Otto episodi da 25 minuti, per una serie che
nasce pensata per il binge watching, per una visione compulsiva dall'inizio
alla fine che occupa poco più di tre ore.
L'icona di Orange is the New Black
ci accompagna nell'intricato e complesso viaggio esistenziale di Nadia che,
nel giorno del suo 36esimo compleanno, muore in un incidente, salvo ritrovarsi a
vivere ancora e ancora la stessa esperienza, per qualche strana legge
universale che si accanisce misteriosamente su di lei. "L'universo vuole
prendersi gioco di me e io mi rifiuto di giocare", dice Nadia all'inizio
della serie. L'impressione che si ha nei primi episodi è che la nostra eroina
sia (ancora) intrappolata in un loop o un bug del sistema e che la sua missione
consista nello sbloccare la situazione, per accedere al livello successivo,
proprio come nei videogiochi che Nadia progetta quando non è troppo impegnata a
sabotarsi l'esistenza fra alcol, droghe e incontri occasionali.
Quello che
scopriamo, però, nel corso della storia è che questo racconto di redenzione, reso
accattivante con sagace cinismo e umorismo black, è più di un intricato gioco
di specchi ma scava in profondità, su più livelli, come quelli della matriosca
del titolo, dove Nadia è la piccola bambola del suo pazzo gioco chiamato vita. Nadia
è un'eroina dal cuore ammaccato e perdente sulla carta, egoista ed egoriferita,
ma è piena di sfaccettature e determinata a muoversi in tutte e quattro le
dimensioni della realtà per trovare il suo posto nell'universo, sempre che ne
esista uno. Con una battuta e un'altra sigaretta da fumare.
La donna, infatti, pur cercando di cambiare l'esito degli
eventi, non può nulla contro un destino che, però, la ritrasporta continuamente in
un loop temporale, da cui non riesce a trovare una via d'uscita finché la sua
vita non incrocia quella di un uomo a cui sta accadendo la stessa cosa. Cosa
accomuna i due? Sono due persone psicologicamente ridotte male; lui, infatti,
mollato dalla sua fidanzata a cui stava per chiedere di sposarlo, deciderà di
suicidarsi e continuare a rivivere per sempre lo stesso giorno. Lei, invece,
combatte ogni giorno con i soliti vizi e i soliti traumi, e quel malsano
rapporto con la madre con cui non ha ancora fatto pace. I due, però, decidono
di allearsi per cercare di salvarsi a vicenda e scopriranno un'umanità e
generosità nascosta dentro di loro che li porterà a vincere la partita con il
destino e a risolvere parte di quei traumi che si portavano dietro da troppo
tempo.
La regia ha fatto un buon lavoro, anche se la sceneggiatura avrebbe
potuto far di meglio e magari con dialoghi più ridotti. La fotografia di scena,
invece, come i movimenti di macchina, sono molto buoni. Grazie anche ad una
apprezzatissima colonna sonora, la serie riesce ad esprimere le diverse anime
di Russian Doll: la ribellione rock, il ritmo blues, la leggerezza pop e
gli elementi di swing della disco music.
La
serie è così incentrata sulla storia complicata di Nadia e sulla solitudine
studiata, che permette a Russian Doll di essere sia una commedia che una
tragedia. Gran parte della situazione di Nadia è davvero assurda, strana e senza senso: "I think a
guy who gave me a haircut yesterday may have died tomorrow yesterday". Ma
lo show non perde mai di vista il fatto che lei sta morendo, di continuo,
spesso davanti a persone che si preoccupano di lei più di quanto lei stessa
ammetterebbe. Questa miscela di toni e la mania controllata della brillante
performance di Lyonne trasformano Russian Doll come qualcosa di
completamente nuovo.
Sicuramente la tematica degli universi paralleli è stata
già trattata, ma una mezza scalmanata, una trentaseienne dai capelli riccissimi
e dal fare ribelle, proprio come l'eroina della Disney a cui assomiglia, è
particolare. Una donna in balia di multiple insoddisfazioni, paure, crisi
psicologiche e un milione di traumi che si porta addosso da anni. Decisamente
una non eroina o un modello da seguire e non uno di quei personaggi a cui ci si
aspetta che qualche sceneggiatore e regista dia attenzione o che la faccia
diventare protagonista di una serie tv. Natasha Lyonne, però, creatrice,
produttrice e interprete della serie, ha il coraggio di farlo e di creare un
prodotto fuori dagli schemi e proprio per questo davvero interessante e
originale.
Russian Doll è una serie apparentemente ruvida, diretta,
senza filtri così come la sua protagonista. Una serie che dà quasi fastidio per
il suo essere caotica ma che porta lo spettatore dentro quel caos e glielo fa
perfino amare. Ci sono tante cose costruite bene, a cominciare dalla festa, che
è perfetta sia nel suo essere ossessivamente uguale, sia nel mostrare piccoli
dettagli differenti ogni volta, passando per il penultimo episodio, che fa
deragliare quanto visto fino a quel momento, dando l'illusione che la serie
stia per spiccare il volo. Il problema è che poi il volo non lo spicca.
La seconda stagione ha scelto ancora una volta di misurarsi sul terreno dei pasticci spaziotemporali, ma adoperando una formula differente, se vogliamo più classica. Ancora una volta il centro è il tempo, questa volta in modo diverso e strizzando l'occhio alla fantascienza. A questo giro Nadia viene spedita nel passato per cercare di redimere - o perlomeno comprendere - certe scelte praticate rispettivamente da madre e nonna materna. Il cammino della protagonista coincide col suo prossimo quarantesimo compleanno. Una data simbolica: è il momento in cui si fa un primo significativo bilancio della propria vita, quando si guarda al proprio vissuto, anche familiare. La scelta di spingere un giretto nella New York del 1982, dove - o quando - l'assenza di internet genera un gap tra le generazioni. Così Nadia scopre i misteri del passato di famiglia, salta nel 1982 per avere un assaggio dell'esistenza sbandata della madre e più indietro ancora nell'Ungheria invasa dai nazisti, ricevendo uno scorcio del vissuto della nonna. Nadia va a caccia di un tesoro che potrebbe cambiarle vita, saltando da un'epoca a un'altra e da un set all'altro ricostruiti con suggestiva maestria. Sulla sua strada Nadia è destinata a incontrare le figure del passato della madre, sperimentando, letteralmente, come e perché la genitrice sia diventata la ragazza interrotta che l'ha abbandonata.
Come insegnano Ritorno al futuro e Donnie Darko,
per viaggiare nel tempo occorre un artefatto; in questo caso, un treno della
metro. Il pilot della seconda stagione di Russian Doll si carica della
tensione rock and blues creata da un iniziale brano dei Depeche Mode, quando
Nadia prende la metropolitana per l'ospedale dove incontra sua nonna Ruthie.
Laddove
una chiara idea di partenza e la struttura simmetrica favorivano leggibilità e
equilibrio, stavolta le geometrie sono più complesse se non apertamente incasinate,
e a farne le spese - oltre alla concentrazione dello spettatore - è il
personaggio di Alan, la cui (interessantissima) linea narrativa si perde un po' via. I due personaggi sono costretti a vivere nei corpi delle proprie madri e a
scavare più a fondo nei loro passati (dal quarto episodio il focus si sposta su
Alan) attraverso un insolito portale temporale collocato in uno dei luoghi più
noti di Manhattan. Inizialmente vivono questa situazione come un'avventura
intergenerazionale in continua espansione che attraversa varie linee temporali;
presto, però, scoprono che l'eccezionale evento ha in serbo per loro più di
quanto si aspettassero. L'essere figli delle proprie madri, l'osservare con gli
stessi occhi le brutture di una guerra superata dai nostri nonni tramuta Russian
Doll nell'inglobamento totalizzante del proprio albero genealogico,
studiandone le origini e riscoprendone i percorsi mappando gli effetti e le
cause che hanno portato fino a noi. Ed i figli sono proprio l'espressione
assoluta di quelle lesioni provocate dagli eventi del passato, che si ripetono,
si ripercuotono. Noi siamo loro.
Insomma, più che viaggiatrice del tempo, come ammette la
stessa Nadia, è prigioniera del tempo. Alcuni dei migliori episodi della prima
stagione avevano a che fare con Nora e con il modo in cui il deterioramento
della sua salute mentale influenzava Nadia, ma qui noi (e Nadia) riusciamo a
viverlo davvero. Possiamo vedere quanto Nadia veneri, senta la mancanza ed
emuli sua madre – come se stesse vivendo quell'età adulta vibrante che Nora non
ha mai potuto sperimentare. Nadia e Alan avranno ognuno la propria storyline che
come sempre convergono alla fine.
Dopo la chiusura tonda della prima stagione
l'idea di proseguire con le faccende di Nadia non erano essenziali, ma la serie
ha saputo narrare un racconto capace di accendere riflessioni mica da poco sul
valore dei legami o della memoria. La seconda stagione della comedy, con i suoi
sette nuovi episodi, è tutta declinata al femminile: la "russian doll", infatti, è custode nel suo grembo simbolico di numerosi "figli" sia quando tutti i pezzi
vi rimangono dentro, sia quando decide di sdoppiarsi, aprirsi e mostrare i suoi
strati interiori. Perché in questo secondo ciclo di episodi creato,
interpretato e diretto dalla stessa Natasha Lyonne, si viaggia nel tempo, ma
anche negli strati dell'animo, e si esplorano, con spirito graffiante e
attraverso una lente fantascientifica e contorta, tematiche sull'esistere come
l'autorealizzazione e le nuove consapevolezze, l'eredità familiare e il destino.
Come la sua prima stagione, Russian Doll 2 continua ad esplorare l'Io
interiore della protagonista Nadia, che anche stavolta deve scendere a patti
con i traumi del suo passato e della sua infanzia. Una riflessione che porterà
la donna indietro nel tempo, vestendo i panni di quella nonna e quella madre
che l'hanno condotta e condizionata fino al compimento dei quarant'anni.
Così, in tutte queste generazioni, la
vera protagonista è Nadia, avvolta nella palandrana da creatura della notte
nelle cui tasche affonda sempre le mani, la chioma fiammeggiante e ribelle che
incornicia il viso stravolto col trucco un po' sbavato, la voce roca, la
falcata sbruffona, la gestualità nervosa: Nadia è supercool e lo è ancora di
più in questa seconda stagione. Il mix di cinismo, sarcasmo, rabbia, malinconia
e follia della Nadia insoddisfatta, arrabbiata, sola, agguerrita e troppo
intelligente per vivere serenamente formano l'ego di un personaggio
particolare.
Il finale è un trip delirante di universi che si incrociano e
sovrappongono. "Solo perché sono venuta prima di te non significa che io
abbia tutte le risposte", dice Nora a Nadia. La ragazza prende a cuore
questa lezione, smette di cercare ciò che avrebbe potuto essere e accetta ciò
che è. Esce per sempre dal treno per partecipare alla veglia funebre di Ruthie, insieme ad Alan e al resto degli amici, godendosi quello che aveva, invece di
quello che non aveva. Una terza stagione conclusiva dovrebbe essere già in
programma, ma non si sa mai con Netflix che cancella le serie a random.
Non è una serie convenzionale e su questo non ci piove. "A quanto pare mi sbagliavo sul tempo. Pensavo di poter cambiare le cose se fossi tornata abbastanza indietro. Invece posso fare solo ciò che è sempre stato fatto" questa è la lezione. Alla fine realizziamo che Russian Doll e Nadia ci raccontano molto più del senso dell'esistenza e del macabro eterno ritorno della morte, ma si focalizzano su un dettaglio non meno importante della vita: nasciamo e moriamo ogni giorno, quindi dobbiamo cogliere ogni opportunità per scrivere o riscrivere la nostra storia. Quel che conta è avere il coraggio di affidarci agli altri e imparare a perdonare noi stessi lungo il cammino. Solo così potremo superare il dolore e uscire a rivedere le stelle.