Un nuovo capitolo di Sex and the City è arrivato dopo
dieci episodi lunghi 45 minuti l'uno, a fronte dei 20 della serie originale, e
ben undici anni di attesa dall'ultima produzione dedicata al gruppo di amiche
newyorkesi più famoso della televisione. I fan di Sex and the City hanno
aspettato per anni di rivedere sul piccolo schermo le loro amate ragazze di
Manhattan alla ricerca dell'amore e di sé stesse. Nella nuova serie, creata da
Darren Star, ritroviamo le amate Carrie, Charlotte e Miranda in una New York
post-pandemia da Covid-19. Gli episodi scorrono veloci e li ho divorati in una
serata.
Un epilogo che chiude un cerchio, che non necessariamente andava
riaperto, ma almeno stavolta non scade nel pacchiano o nell'improponibile. I
due mediocri film, usciti rispettivamente nel 2008 e nel 2010, non erano stati
sufficienti. Niente più outfit sfavillanti, né passeggiate tra le iconiche vie
di Manhattan, né eccitanti serate nei locali alla moda. Restano le mura di un
appartamento troppo grande per una persona sola, gli scatoloni pieni di ricordi,
la paura di voltare pagina. Assistiamo, in altre parole, all'unico sviluppo
possibile per questi personaggi e al tentativo disperato di farli evolvere,
restituendogli un briciolo di spessore psicologico. Le donne che un tempo erano
disinibite e all'avanguardia, oggi non sono nient'altro che "boomer" (nel senso
più dispregiativo del termine), incapaci di allinearsi totalmente ad un mondo
in cui non si riconoscono più completamente.
Sono passati parecchi anni dall'ultima volta in cui abbiamo
visto Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha volare ad Abu Dhabi ed affrontare
gli anni della menopausa (qui la recensione); oggi le vediamo (ad eccezione di Samantha) con le
nuove sfide di un decennio che le ritrova invecchiate, disilluse e
apparentemente inadatte ai cambiamenti di una società che è in movimento
continuo. Dopo anni di turbamenti amorosi, le tre inseparabili amiche Carrie
Bradshaw, Charlotte York e Miranda Hobbes sembrano aver finalmente trovato un
equilibrio accanto ai rispettivi consorti. La tranquillità delle tre è
destinata, purtroppo, a non durare a lungo.
"Non possiamo certo rimanere
quelle che eravamo", dice all'inizio Miranda. Alle prese con crisi
familiari e personali, figli indisciplinati e inedite consapevolezze, le
ex-ragazze, ormai oltre la soglia dei cinquanta, dovranno far fronte a scelte
dolorose e cambiamenti inaspettati. Carrie, Miranda e Charlotte sono cambiate e
sono maturate. Vivono tre vite diverse ma sono ancora unite da una profonda
amicizia che sorregge, incoraggia e allevia la vita di ognuna di loro. Samantha
non vive più a New York, ma a Londra e ha preferito mettere un oceano tra lei e
Carrie piuttosto che affrontare la frattura emotiva e amicale che si è venuta a
creare tra loro. Non c'è un vero e proprio evento scatenante, non vengono mostrate
o analizzate le ragioni di questa assenza di Samantha; quel che si percepisce è
che il distacco è presente, è vivo e non si può ingannare. Carrie, Miranda e
Charlotte si troveranno costrette a stravolgere, ancora una volta, le proprie
esistenze, scoprendosi più combattive e unite che mai. Se a venti e trent'anni
l'erotismo era ciò di cui scrivere e da praticare compulsivamente, a più di
cinquanta è la conoscenza di sé stesse a prevalere, il voler parlare della
propria vita e non delle avventure di una notte, di voler sapere di poter
essere ancora vive invece che rivangare solamente i decenni andati.
A differenza
della serie originale, questa miniserie risulta meno comica, dovuta alla morte
di Big nel primo episodio e al conseguente funerale e dolore di Carrie. La vediamo
più spenta, triste, struccata, e alle prese con mille cambiamenti nella propria
vita (vendita della casa e acquisto di una nuova, ritorno al suo vecchio
appartamento, ritrovamento nella fiducia in un uomo). Il lutto di Big, morto di
una crisi cardiaca a cavallo di una cyclette che suona come un monito (non
serve a niente correre, il peso degli anni finisce sempre per acciuffarci),
spinge Carrie a un ritiro intimo che non è né rinuncia né tristezza. Dal primo
episodio in poi, deve affrontare un intenso percorso attraverso il vuoto, la
morte, l'assenza, il silenzio, l'amore che resta e non sembra mai andar via. Una
donna in lutto che deve ripartire da zero per tornare a vivere, nonostante il
peso che sente nello stomaco, le notti insonni ed un letto troppo grande in cui
dormire. L'attrice consegna a questo personaggio tutto quello che ha e permette
a Carrie di affrontare la sofferenza in modo naturale, proprio come succede a
tante persone lì fuori. Carrie diventa un personaggio in cui gli spettatori si
riconoscono. Nonostante la sua quasi totale incapacità di far sgorgare lacrime
dai suoi occhi, è abilissima nel veicolare tali sensazioni.
Questi e altri sono
tutti i nuovi cambiamenti che le protagoniste stanno affrontando nell'epoca della modernità. Carrie si è
convertita a Instagram e illustra in un podcast sul sesso interrogandosi non
tanto sull'epoca ma sulla maniera di adattarvisi quando si è nati negli anni
Sessanta. Carrie, che negli anni '90 scriveva un blog sulla sessualità
vantandosi di quanto fosse progressista, adesso si sente in imbarazzo a parlare
in modo esplicito di certi dettagli personali durante la registrazione del suo
podcast. Non mancano, però, le chiacchierate con le amiche; l'assenza di
Samantha si sente e le perle sul sesso sono decisamente diminuite, sostituite
da alcuni momenti sporadici tra Miranda e Che. Con la sua assenza si è sentito
il bisogno di introdurre, addirittura, quattro nuovi personaggi femminili, al
solo scopo di vivacizzare un plot che altrimenti sarebbe risultato troppo
scarno.
La serie sembra quasi perdersi nelle prime puntate, confrontando le sue
eroine col presente, ma ritrovarsi non appena volge indietro lo sguardo. Sono
tanti gli argomenti che emergono man mano che gli episodi scorrono e spesso
sono troppo caotici: la sessualità e la sua identità, l'infertilità,
l'invecchiamento. E ancora l'alcolismo, l'inclusione e non solo. Attorno alle
tre protagoniste, anche i personaggi secondari sollevano riflessioni su temi
complessi e ancora raramente affrontati da prodotti televisivi pop, come la
discussione sulla FIVET (fecondazione in vitro) e sul più ampio concetto di
maternità, il dibattito sulla legalizzazione della cannabis, la questione
dell'appropriazione culturale e l'identità di genere come spettro.
Charlotte,
sempre presa dai mille impegni mondani, ci dà ancora una volta una lezione di
vita e di "femminismo", facendo notare che le donne debbano ogni
volta scusarsi e di non essere più disposta a farlo. Accetterà anche i
cambiamenti d'identità di sua figlia. Sarebbe stato molto bello vedere le sue
imperfezioni, mostrate in modo più limpido e trasparente, ma questo non accade. Miranda,
che torna a studiare a cinquant'anni, si scontra con una nuova generazione,
molto militante, che crede di comprendere ma con cui sbaglia convinta di fare
bene, convive con un marito con problemi di udito e un figlio molto attivo dal
punto di vista sessuale, per poi perdere la testa per una "queer". Miranda mette
in discussione sé stessa, la propria identità, le scelte che fino ad ora
l'hanno trascinata fin qui. Il percorso di questo personaggio è sicuramente
sorprendente ma spesso è colmo di luoghi comuni e scelte prevedibili. Il merito,
però, va quasi interamente a Sarah Jessica Parker che sembra non aver mai
lasciato il suo personaggio. Ha vent'anni di più ma la sua Carrie ha la stessa
voce, la stessa intonazione. Il resto lo fa la morte imprevista di Big che
permette alla serie di dispiegarsi, alla ricerca di un secondo soffio. A
partire da quel momento un sentimento segreto ci invita a seguire Carrie, a non
lasciarla sola mentre si ripara nel suo ex appartamento nel West Village, lo
stesso in cui scriveva gli articoli che servivano da filo conduttore alle sei
stagioni di Sex and the City. Il dramma che la colpisce prende la forma
di un abito nero, di un velo sugli occhi e di una vita privata d'un tratto
dell'amore. Un dramma che precipita la serie in una nuova dimensione a cui
contribuisce anche l'assenza di Samantha, il personaggio più libero sessualmente
ma anche più sensibile agli effetti del tempo che passa. Tutte, dunque, fanno dei cambiamenti nella propria vita: c'è chi ritrova sé stessa, scoprendo le cose importanti della vita, e chi si perde, pensando di aver fallito, c'è chi si rialza e chi si scontra con una nuova realtà, dimostrando di essere forti sempre di fronte alle difficoltà.
Carrie ritrova un
bacio vero, Charlotte la "fede" in sé stessa, Miranda i suoi capelli rossi.
La serie trascina molti più problemi di scrittura e di coerenza, i quali finiscono per limitare le scelte creative a favore di un'eterna sensazione di sospensione. Pochi, ad esempio, hanno gradito i cambiamenti subiti dal personaggio di Miranda Hobbes. Metamorfosi che avrebbe potuto essere interessante e non del tutto inverosimile, se solo fosse stata sviluppata gradualmente e non così, di punto in bianco, senza dare particolari spiegazioni a chi aveva, nel tempo, imparato ad amare (e talvolta "sopportare") un personaggio stereotipato ma che funzionava alla grande nel contesto originario. Anche gli uomini di Sex and the City sono sempre stati, certamente, delle figure in secondo piano, servendo principalmente a condire di pepe le vicissitudini delle ragazze, ma decidere di trasformarli in fugaci comparse, mettendoli spesso (e gratuitamente) alla berlina, si rivela come l'ennesima scelta drammaturgicamente insensata. E l'unico personaggio che ci ha regalato, ancora una volta, una perla di saggezza è stato quello più "trattato male" dagli sceneggiatori della serie, Steve che, in un dialogo con Carrie nella scena più emozionante dell'episodio finale e, forse, della serie intera, si dimostra l'uomo più leale, fedele, onesto, innamorato e concreto di tutti, regalando alla Bradshaw e a tutti noi una bellissima lezione d'amore. Anche prima, Steve dà una grande lezione di vita alla sua donna e alle donne che vedono la serie, ricordando che, a discapito di tutte le feste, il divertimento e i lustrini, di cui ci ha abituato Sex and the City, la vita di coppia è fatta di semplice quotidianità, di stabilità e, forse, la felicità sta proprio in questo.
In poche parole, And Just Like That… fornisce tanto materiale ma
non riesce ad offrire un vero e proprio crescendo, inserendo qualche colpo di
scena qua e là, ma rimanendo paradossalmente sempre fermo. Un aspetto davvero
positivo è l'interpretazione dei personaggi, nonostante i grandi scandali
piovuti sulla produzione: prima con le terribili vicende giudiziarie di Chris
Noth, accusato di molestie sessuali a pochi giorni dalla messa in onda del
debutto della serie, poi con l'eterna diatriba riguardante Kim Cattrall, ed
infine il personaggio di Che Diaz, poco apprezzato dal pubblico per via di una
paventata esagerazione nella sua elaborazione "inclusiva". Chris Noth sarebbe
dovuto apparire in chiusura della serie, dando a Mr. Big un addio epico, ma la
scena è stata cancellata.
Ad ogni modo, visto il risultato complessivo comunque gradevole, sembra che la seconda stagione sia più che probabile (eccola qui), nonostante gli ascolti non entusiasmanti. Qualcuno ha faticato negli anni a mandare giù l'incarnazione stessa della libertà eccessiva rappresentata, la storia e la convivenza con un uomo tossico, una vera canaglia egocentrica, e che tutto il cast fosse extra bianco e privilegiato, che le protagoniste parlassero di sessualità senza mezzi termini, che il femminismo di ieri non fosse insomma quello che è oggi. A cinquantacinque anni, la cronista dell'amore porta fieramente i suoi capelli lunghi e le sue vertiginose Manolo Blahnik e ha qualcosa nello sguardo che impedisce qualsiasi sarcasmo. Anche nei momenti di peggiore crisi, Carrie Bradshaw e gli altri riuscivano a non prendersi mai completamente sul serio, dando alle giovani spettatrici preziosi suggerimenti su come tirarsi su da un'eventuale delusione, affidandosi prima di tutto alle proprie risorse interiori, affinate in anni e anni di relazioni fallite.
Beh, ad essere sinceri, abbiamo come la sensazione che in questa
serie, in dieci episodi, a parte qualche mescolamento di carte, non sia successo
praticamente niente. And Just Like That si ferma ad un livello
superficiale, senza mai affrontare veramente le questioni che pone, finendo per
essere tradito dalle sue stesse ambizioni. É molto più che un sequel, molto più
che un revival.
"Loro ci sono sempre per me (le mie amiche)", scrive
Carrie al suo "Mac" mentre scruta New York fuori dalla finestra.