Narcos: Mexico 3. Fine di un impero


Ci eravamo lasciati al termine dell'ultima stagione di Narcos: Mexico (qui la recensione) con Félix Gallardo arrestato a casa sua, tradito e lasciato solo dai suoi soci della Federazione. Il vuoto di potere, l'assenza di un uomo forte al comando del cartello di Guadalajara, aveva lasciato diversi punti interrogativi. Con l'uscita di scena di Félix, interpretato da Diego Luna, le cose dovevano in qualche modo cambiare, per quanto riguarda gli equilibri, le dinamiche, la corsa per la supremazia. 
In questa terza e ultima stagione, arrivata su Netflix a novembre scorso, viene raccontata ancora una volta una realtà complessa del narcotraffico e il tentativo della DEA di fermare tutto. Sempre presente è il timore che, come accaduto con la morte di Escobar nella seconda stagione della serie madre, anche in questo caso - con l'uscita di scena di Félix - i nuovi episodi sarebbero stati meno coinvolgenti di quelli precedenti. In parte è così poiché alcuni episodi tendono a disperdere l'attenzione dello spettatore non catturandolo sempre fino in fondo. Lo avevamo già visto in Narcos, con una terza stagione che, archiviato il capitolo di Escobar, si era concentrata sul cartello di Cali e sulla gestione del potere dopo la caduta di Medellín. La stessa cosa avviene anche in Narcos:Mexico, con Gallardo fuori dai giochi: l'ultimo capitolo della serie guarda all'organizzazione del traffico di droga dopo lo sfaldamento del sistema messo in piedi da Félix.

Narcos: Messico 3 racconta gli anni Novanta, anni in cui molti dei più famosi capi dei cartelli della droga finiscono per cadere: Escobar è morto, Félix è in prigione, mentre Amado Carrillo Fuentes e il colombiano Pacho Herrera provano a sparire nel nulla. 
La serie continua a narrare l'evoluzione del narcotraffico messicano attraverso gli eventi accaduti all'inizio degli anni Novanta, e lo fa con una nuova voce narrante, che non è più quella dell'agente della DEA Walt Breslin - voce che in passato ci ha voluto mostrare l'arresto di Pablo Escobar e l'ascesa del cartello di Cali che erano al centro della serie originale. La narratrice è Andrea Nuñez, la giovane giornalista del quotidiano indipendente "La Voz" che vuole portare a galla le ferite più profonde del Messico, il traffico di droga e la corruzione che spesso macchia il potere politico ed economico a Tijuana. La giornalista cerca di trovare indizi sui rapporti tra il cartello di Arellano Félix e alcuni esponenti del governo, dell'industria e della magistratura. Idealista e apparentemente disposta a tutto pur di raccontare la verità, Andrea non dà mai la sensazione di rischiare davvero qualcosa nella sua indagine, né tantomeno di arrivare vicina a trovare prove importanti. Ma non è stata sufficientemente approfondita dagli autori e non riesce ad intrecciare alcun legame con chi guarda. 
La seconda stagione si era conclusa con la fine dell'impero di Gallardo e adesso i capi delle varie fazioni sono diversi: la famiglia Arellano (Benjamin e Ramon) ha ancora il controllo di Tijuana – la serie si apre con il matrimonio di Enedina che, dopo la morte del marito Claudio in un agguato dei Sinaloensi, torna quella che tutti abbiamo imparato a conoscere nelle stagioni precedenti -, dall'altra parte della barricata c'è Amado Carrillo Fuentes che, dopo aver ammazzato il socio Rafael Aguilar Guajardo, si trova presto a capo del cartello di Juarez, diventando in poco tempo il più ricco trafficante di droga del mondo, e cerca di espandere sempre più i propri affari, e poi ci sono "El Chapo" Guzman ed i suoi che vogliono trovare il proprio posto nel commercio di cocaina. La lotta di Ramon e Benjamin contro El Chapo è sicuramente uno dei punti salenti della terza stagione di Narcos: Messico. Come aveva previsto Félix, dopo la costruzione dell'impero avviene lo sfaldamento delle piazze e Sinaloa e Tijuana iniziano a farsi la guerra, indebolendosi a vicenda in una spirale di violenza che non promette nulla di buono. A cercare di ostacolare queste "manovre" è ancora l'agente della DEA Walt Breslin, mandato alla fine della prima stagione per vendicare la morte dell'agente Kiki Camarena. L'estenuante tentativo di sradicare il sistema dei cartelli rischia di vanificare mesi di lavoro e compromettere la sua vita privata. Avevamo lasciato Walt nei suoi nuovi uffici di El Paso dopo il fallimento totale del segmento finale dell'operazione Leyenda. Lo ritroviamo a svolgere gli incarichi pericolosi che l'hanno sempre contraddistinto, ma adesso ha qualcuno da cui tornare, Dani, che è entrata nella vita del poliziotto da qualche anno. I due si godono i rari momenti di pausa a casa di lei e sembrano determinati a rimanere insieme per tanto tempo. La situazione cambia quando Dani riceve l'offerta di lavoro dei suoi sogni a Chicago e chiede a Walt di trasferirsi con lei. Purtroppo Dani non ha avuto abbastanza tempo scenico per essere caratterizzata in modo approfondito e la loro separazione ci lascia indifferenti. Si inserisce nella storia anche quella di un poliziotto di Juarez, Victor Tapia, che si trova ad indagare su alcune donne scomparse, mettendo in luce una delle piaghe che colpiscono soprattutto il confine messicano: i femminicidi. Le forze dell'ordine in Messico hanno uno stipendio da fame, così sono costrette a sbarcare il lunario con attività parallele spesso illegali. Victor deve provvedere anche a mantenere la sua compagna, così quando smette la divisa prende il passamontagna e va a rapinare case nella vicinissima El Paso, in Texas. Con alle spalle alcuni problemi personali, la sua vita cambia quando viene incaricato da una madre disperata di trovare la figlia scomparsa. Chiede un favore alla DEA, che vorrebbe usarlo come pedina per arrivare ad Amado Carrillo Fuentes, ma il loro rapporto non porta mai a qualcosa di concreto. 
Walt realizza nel finale che "noi non siamo i buoni", anche se ci convinciamo del contrario, e che non c'è nessuna ricompensa per tutto ciò che si è perduto per strada. È il racconto della caduta, della maturazione di una consapevolezza che spinge all'arrendevolezza.


Le storyline che si intrecciano in Narcos: Messico 3 sono davvero numerose, cosa che da una parte tende a distrarre lo spettatore, soprattutto se non ha freschi i ricordi di quanto accaduto nelle stagioni precedenti. Quest'ultima stagione, pur prendendosi il suo tempo per mettere in tavola tutte le sue carte, risulta come le precedenti ben scritta e sviluppata, riuscendo nei suoi dieci episodi a toccare molti temi diversi.
 Negli stessi episodi, però, la stagione mette molta carne sul fuoco, dal tema della corruzione a quello della tossicodipendenza, dalla trasformazione di boss e criminali in star lodate per i loro successi alla rappresentazione della povertà, passando per le difficoltà a esprimere le proprie opinioni.

La stagione vuole, e in parte riesce, a tenere alta la tensione, il ritmo, ma non sempre c'è un legame tra spettatore e personaggi. Sono proprio i nuovi numerosi personaggi che si danno il cambio ripetutamente a non convincere pienamente, a differenza delle vecchie stagioni che accanto a quelli principali, come Escobar o Félix, ci sono personaggi secondari di un certo spessore. La serie è scritta e realizzata bene eppure non c'è l'empatia nei confronti di nessuno. Come sempre, i primi episodi procedono troppo lentamente, poi si riprende la serie e risulta buona, eppure non scuote chi guarda come in passato. Decisamente non si può fare il paragone con le prime stagioni di Narcos e anche la storia di Félix sembra ormai lontana.