NARCOS


Medellín è una delle migliori città dove vivere con pochi soldi e nel 1987 Pablo Escobar era tra gli uomini più ricchi del pianeta. In questa serie, ispirata alla cruda realtà del narcotraffico colombiano, il capo dei capi è impersonato da Wagner Moura, il più grande attore brasiliano vivente, a digiuno di lingua spagnola prima di iniziare. Wagner è ingrassato più di 20 chili e ha cambiato modo di camminare e di parlare pur di interpretare Escobar. 
Il pilot di Narcos ci informa che la Colombia è la patria del realismo, dove si intreccia la storia vera e quella raccontata del più folle narcotrafficante di tutti i tempi dalla sua ascesa alla sua caduta: dall'essere un piccolo contrabbandiere a diventare il più potente uomo ricco al mondo al finire braccato come una bestia nel suo stesso paese. 
Dieci episodi per ogni stagione dove nelle prime due viene raccontata la storia di Escobar attraverso la voce dell'agente della DEA Steve Murphy e nella terza le conseguenze della sua morte. Montagne di coca e fiumi di coca creavano montagne di dollari e fiumi di dollari, così tanti che anziché riciclarli si seppellivano nelle terre dei campesinos su tutto il territorio colombiano. Si tratta di un racconto abbastanza dettagliato di quello che fu uno dei periodi più gravi per la Colombia e gli Stati Uniti in merito al traffico inarrestabile di cocaina. Non manca la violenza cruda intorno a dei personaggi spietati magistralmente caratterizzati. In particolare quello di Pablo: ambivalente, contraddittorio per natura, non può non affascinare il pubblico. Ma anche la donna, rappresentata esclusivamente come oggetto sessuale, è disposta a tollerare, giustificare ed approfittare delle turpitudini di uomini dominati dall'ambizione. 
È chiaro che il racconto dei gangster non è nuovo e potrebbe trattarsi della classica serie che enfatizza la violenza, ma qui va osservato più che altro il modo in cui viene narrata ogni vicenda: una regia accurata e attori sorprendenti incorniciano una storia vera, dove non c'è niente di inventato e poco romanzato. Le recitazioni sono impeccabili e molto credibili, dai personaggi secondari fino al protagonista, concentrandosi su una ricercata somiglianza degli interpreti (quel ruolo sembra essergli stato cucito addosso all'attore di Escobar). La ricostruzione d'epoca risulta molto convincente sia per i costumi sia per le ambientazioni. La regia di José Padilha, a tratti documentaristica, è di grande qualità sia quando si rivolge agli aspetti del thriller sia ai momenti di tenerezza di Pablo nei confronti dei suoi figli e della sua famiglia.

Tutto inizia con la presa al potere di Pinochet, che con una lotta al narcotraffico costringe i produttori di coca a rivolgersi a nuovi sostenitori in Colombia. Ecco che entra in gioco Escobar, un contrabbandiere che sta consolidando il suo dominio nella sua città natale Medellín, con mire espansionistiche degne di un fürer. In poco tempo gestisce uno dei più grandi cartelli della droga colombiana. Saranno gli effetti devastanti del suo commercio di cocaina a Miami a spingere l'agente della DEA Murphy a trasferirsi a Bogotà per iniziare una caccia senza precedenti. Ad aiutare l'agente Murphy e l'agente 
Peña ci sarà il colonnello Horacio Carrillo, uno dei pochi esponenti incorruttibili delle forze armate. Abbiamo tante importanti alleanze, ma anche i primi nemici di Escobar, i quali pensano bene che estorcere denaro a magnati della droga (e trafugare la Spada di Simón Bolivar, un grosso gesto di natura politica) sia una buona idea per farsi conoscere. Il gruppo rivoluzionario comunista M-19 rapisce la sorella dei fratelli Ochoa, diretti alleati di Escobar; una mossa le cui ripercussioni non tardano ad arrivare. Dopo l'uccisione del politico Rodrigo Lara, la DEA cerca supporto dagli uomini della CIA, gli unici in grado di contrastare lo strapotere di Escobar nel suo Stato di origine. Si crea, poi, una connessione tra lui e le forze di matrice comunista, mentre si dà tutto il supporto possibile a membri del Congresso colombiano favorevoli alle manovre di estradizione contro i narcotrafficanti, primo fra tutti Luis Carlos Galán. L'incendio al palazzo di Escobar è il primo esempio di battaglia tra narcos e DEA, specialmente, poi, grazie all'intervento dell'M-19 con la sanguinosa strage alla Corte Suprema Colombiana. A questo proposito la CIA sposta l'obiettivo lontano dal re della droga sudamericano, concentrandosi sul bersaglio meno importante e mancando di fornire ulteriori aiuti a Murphy. 

In poco tempo Escobar è sotto fuoco: la CIA ha raso al suolo le sue officine, minando alla base la filiera produttiva di cocaina. La sua stessa famiglia mette in discussione le sue mosse, dalla nuova residenza di Panama, confessando la volontà di tornare in patria. 
Nella macrostoria di Narcos ci sono infinite microstorie dalle prostitute colombiane brutalizzate alle donne dei boss, le figlie, le madri, i bambini. La madre di Escobar sembra avere dei dubbi sulla responsabilità del figlio per l'attacco all'aereo, la moglie Tata spazza via l'incertezza con tono quasi stanco: non è possibile guardare la realtà se sei la moglie di un criminale. Poi c'è Valeria Velez (nella realtà Virginia Vallejo), giornalista colombiana, famosa amante di Pablo. Tutti intorno a Pablo che si nasconde dalla DEA, senza allontanare dalla testa la sua visione boliviana di diventare Presidente della Repubblica, fino ad essere arrestato, arrivando a costruirsi la sua personale prigione-reggia dove scontare la pena. Dopo neppure una settimana dalla morte del più stretto collaboratore di Escobar, il governo colombiano si arrende ai narcos: l'estradizione non è più un pericolo e Pablo avrà la possibilità di costruire La Catedral, prigione di lusso dove potrà continuare a fare affari senza il disturbo della polizia, costretta a tenersi a svariate miglia di distanza. Murphy e Javier si ritrovano a dover lavorare di nascosto portando ad accordarsi sotto banco con il cartello di Cali, poiché loro stessi stanchi dello spadroneggiare di Escobar che danneggia gli affari. Nonostante la DEA alle spalle, Pablo ama il suo Paese al punto da non poterne stare lontano; è una belva spietata e individualista, ma che si aggrappa al riconoscimento sociale aiutando le masse degli indigenti con la costruzione di scuole e ospedali. Seppur un criminale, è stato un uomo dalle grandissime doti, capace di creare un impero miliardario grazie ai suoi traffici illeciti. Un uomo paradossalmente del tutto normale, con valori altrettanto importanti come la famiglia, il rispetto, la fiducia e, sembra strano a dirsi, l'onestà. Un uomo con le sue debolezze, che non è riuscito a sopportare le troppe pressioni e trasformatosi in mostro, uccidendo migliaia di innocenti e ingaggiando una guerra civile contro il proprio governo. 
Quell'ultima manciata degli episodi è memorabile ed Escobar, alla fine della stagione, è rimasto solo; sarà, però, durante l'operazione del suo trasferimento, a scappare.

La fuga da La Catedral è il punto di partenza della seconda stagione, nel disperato tentativo del re della cocaina di riacquistare la sua egemonia su Medellín. La storia ci dice che dalla fuga dalla prigione avvenuta il 22 Luglio 1992 all'uccisione avvenuta il 2 Dicembre 1993, Pablo passò fondamentalmente il tempo a nascondersi. Mentre la prima stagione era stata per quanto possibile fedele alla realtà dei fatti, alternando materiale romanzato e riprese reali, formando il mix che ha portato al successo la serie, ora sembra che la finzione prevalga. Durante il secondo ciclo di episodi ho patito la diluizione narrativa della vicenda che mi ha realmente interessata solo in vista dell'epilogo alla luce del progressivo isolamento di Pablo Escobar, ridotto, negli ultimi episodi, ad arrabattarsi con un solo uomo fedele a disposizione. Un epilogo che già tutti conosciamo e anche per chi non conosceva bene la storia, come me, non è del tutto inaspettato. 
Il cartello di Cali e persino i suoi sostenitori pensano di poter approfittare della momentanea debolezza di Escobar per spodestarlo, mentre la DEA continua la caccia con l'utilizzo di ogni singolo uomo dell'esercito. Murphy rimane un'utile voce narrante fuori campo fastidiosa, ma molto meno utile a riequilibrare la narrazione. Peña fa un lavoro migliore a portare avanti la storia, mentre Murphy è impegnato a prendere a pugni due ignari consumatori di cocaina, con la moglie Connie fuggita negli Stati Uniti, oppressa dalla pericolosità di Medellín. Solo negli ultimi due episodi, possiamo notare un vero cambiamento in Escobar, quando lui stesso si rende conto dell'inevitabile caduta e inizia a non radersi la barba. L'umanizzazione del criminale è completata, fatta di controsensi, sogni ed ipocrisia della folle mente di Pablo. In quei pochi minuti prima di essere catturato osserviamo il declino di un uomo seduto nel suo bagno a pensare, un uomo che aveva mille ambizioni ma è crollato, ma non saranno quegli istanti di consapevolezza a farlo arrendere; perché lui è Pablo Escobar e non si vorrà mai consegnare alla polizia. In una fuga contro il tempo che ci costringe a tenere gli occhi puntati allo schermo assistiamo alla sua fine. Il finale aperto, che fa presagire il coinvolgimento di Javier Peña nelle indagini relative ai nuovi cartelli della droga colombiana, è coerente con le premesse del progetto.


Con la morte di Pablo Escobar, Narcos si avvia verso un cambiamento narrativo radicale: una terza stagione che si apre con i nuovi cartelli colombiani pronti a prendere il potere dopo la morte di Escobar, ma che chiude anche, però, inevitabilmente, un ciclo. Pablo Escobar era, all'interno di Narcos, un protagonista carismatico e catalizzatore di ogni storyline. 
Dai primi minuti assistiamo ad una presentazione del cartello di Cali, della sua organizzazione capillare e astuta, derivante dal grande spirito imprenditoriale dei fratelli Rodriguez (i Patron), Gilberto e Miguel, insieme a Pacho (che gestisce le operazioni in prima persona) e Chepe (che coordina il traffico di droga a New York), e notiamo subito le differenze tra il cartello di Cali da quello di Medellín. La sostanziale differenza con Escobar è che i Rodriguez vogliono apparire persone per bene, costruendo una menzogna sociale, grazie alla collaborazione delle classi più altolocate. Il loro sistema è subdolo in quanto danno la parvenza di una pace sociale, occultando i peggiori crimini. Consapevoli di un'imminente guerra e possibile crisi del proprio sistema, Gilberto e Miguel stringono un accordo con gli USA per consegnare, dopo sei mesi di attività, le chiavi del proprio impero, mantenendo ogni guadagno e privilegio. 
Qui troviamo al comando, per nostra gioia, solo l'agente Peña e i suoi fantastici baffi, che con il suo impegno per distruggere, questa volta in prima persona, il cartello di Cali, e con la sua voglia di riscatto, nega di riconoscere il cadavere di Escobar in una foto. 
Nonostante la narrazione troppo didascalica e ripetitiva a causa del sovraccarico di informazioni già date, non mancano nemmeno in questa stagione memorabili sequenze come il ballo passionale di Pacho nel primo episodio o la sparatoria di New York dentro un salone di parrucchieri, senza dimenticare il blitz durante la festa della salsa a Cali o il massacro di Pacho che poi si consegna alla polizia durante un'irruzione in chiesa. 
Nonostante l'assenza del boss di Medellín, la sua pancia prominente e quell'aria annoiata, la produzione è riuscita a tenere alta la qualità.

Narcos ci regala uno spaccato credibile e potente della Colombia di quegli anni, in cui tutti (politici, poliziotti, calciatori, giornalisti) hanno prosperato grazie alla droga. Le atmosfere e i colori sono tipici del cinema sudamericano. Senza considerare l'ultima stagione, la storia di Pablo Escobar è piuttosto coinvolgente. L'unica pecca è che la serie tv è in parte in lingua originale con sottotitoli, a mio avviso per evidenziare ulteriormente le caratteristiche della popolazione locale protagonista della serie. 
Siamo di fronte ad una narrazione che dall'inizio non è esattamente lineare e chiarissima con tutti i suoi salti temporali, ma che prende quanto serve al fine di comprendere una produzione di stampo realistico. Non c'è il rischio di provare empatia per questi assassini. Quella di Escobar è una personalità ambivalente: un criminale violento e senza scrupoli, ma nel suo intimo visionario, con in mente un futuro diverso per la sua nazione. Come sappiamo, tuttavia, il fine non sempre giustifica i mezzi.