L'IMMORTALE



"Ciro è morto" si sono sentiti ripetere i fan della serie per mesi e mesi. Invece, proprio in virtù di quel soprannome che l'accompagna da sempre, Ciro Di Marzio è sopravvissuto anche a quello sparo fermatosi ad un centimetro dal cuore. Ciro è stato ripescato a largo del Golfo di Napoli dopo il colpo di pistola in petto ricevuto da Genny. E mentre sprofonda sempre più a fondo ecco riaffiorare i ricordi del terremoto dell'Irpinia del 1980 in cui ancora neonato, sotto le macerie della sua casa, divenne "l'Immortale" poiché l'unico della sua famiglia sopravvissuto alla strage. Cosa volete quindi che possa mai essere un proiettile sparato da suo "fratello" Genny? 
Don Aniello (ex scagnozzo di Don Avitabile, padre di Azzurra) gli spiega che la sua resurrezione gli permette quello che per altri è solo un sogno: ripartire da capo. Gli affida l'incarico di fare da intermediario con la mafia russa a Riga, in Lettonia, dove però i russi sono in guerra con la criminalità locale. Per far arrivare la droga, Ciro si appoggia all'attività di sartoria contraffatta di Bruno, ossia il suo mentore di quando era bambino a Napoli. Una collaborazione che fa riaffiorare in lui diversi ricordi, scanditi in molteplici flashback. Assistiamo ad un viaggio di formazione a ritroso che arriva dritto al cuore del personaggio: un bambino destinato a bruciare le tappe, che passerà rapidamente dal furto allo spaccio e all'omicidio, per conquistare i vertici del crimine organizzato. Nell'orda di bambini che apprendono le regole del contrabbando e del furto con scasso, Ciro ascolta le storie di boss leggendari come fossero fiabe.


Il piccolo Giuseppe Aiello, che interpreta Ciro da bambino, è perfetto nella sua spontaneità e nella dolcezza delle sue espressioni. Il rapporto che lega Ciro a Bruno è ben sviluppato, sebbene venga, poi, Bruno troppo risucchiato dalle disavventure del Ciro risorto. Il film, in cui attore ha curato sceneggiatura e regia, non dice nulla di nuovo oltre alla serie, a parte il background dell'Immortale. Ed è proprio qui che, rispetto al racconto attuale, risulta più convincente il ritorno all'infanzia, alla Napoli del contrabbando di sigarette, ai festoni per la vittoria dello scudetto di Maradona. La sceneggiatura è prevedibile e si fa presto a capire il grande disegno che sta dietro a questo film spin-off. Marco D'Amore ha, però, saputo dirigere un'opera fortemente introspettiva che ci fa vivere le dolcezze e le contraddizioni di un'infanzia distorta messa in scena con un piglio decisamente neorealista. Tutto è vissuto attraverso gli sguardi di Ciro, i suoi silenzi profondi e quelle parole dette a Genny che gli risuonano in testa "non ho più motivo per vivere a differenza tua". Tutto ciò descrive perfettamente ciò che è rimasto di lui, entrandoti nel profondo del petto trafitto come una lama.

Ciro è il personaggio che forse molto più di altri offriva una caratura psicologica e permetteva di approfondire i tormenti del boss napoletano. L'Immortale è un racconto intimo basato sui temi della redenzione e dell'appartenenza e funge da ponte tra la quarta (qui la recensione) e la quinta stagione (qui la recensione), dimostrando un unicum tra presente e passato a partire dall'ultima puntata della terza stagione per poi spostarsi tra i ghiacci della Lettonia con un corredo di emozioni, in particolar modo riguardo l'infanzia di Ciro che fa emergere tutta l'umanità del personaggio. L'Immortale guarda alla Napoli degli anni Ottanta, quella della paranza degli orfani abbandonati a loro stessi da uno stato assente, per tracciare una linea - umana e criminale - che porta fino all'uomo che non ha più niente da perdere perché più nulla gli è rimasto. Una vita che gli sembra una condanna e lo dice il suo stesso nome: è l'Immortale non più perché sopravvissuto alla vita e ai troppi dolori e lutti, ma perché condannato a rimanere vivo inutilmente.