Squadra che vince non si cambia. Stessi registi e stesso cast: Boris (recensione della serie qui) lo conosciamo e conosciamo Renè Ferretti, regista televisivo frustrato che, tentando questa volta di dirigere un film d'autore, si accorge che il mondo del cinema è quasi peggiore di quello della televisione. Lo spettatore ed i personaggi si spostano dall'universo televisivo per approdare a quello cinematografico proprio come tutta la troupe di Boris, che si assicura come sempre di mantenere intatta l'irriverenza e l'umorismo intelligente della serie. Perfino la "cagna maledetta" merita il primo piano. Nel passaggio dal piccolo al grande schermo la produzione ha deciso di evitare al massimo di modificare qualcosa: le battute "a cazzo di cane" sono state limate per avvicinarsi ad un prodotto più serio sia nella finzione che nella realtà, ma la struttura narrativa rimane la stessa, con l'unica differenza che al posto di un set televisivo ne viene mostrato uno cinematografico, dove Renè cerca tra mille difficoltà di portare a termine il suo lavoro.
Dopo aver sofferto una nuova delusione con la fiction "Il giovane Ratzinger", decide di ritirarsi a vita privata: da una scena che non mette d'accordo il regista con il delegato di rete Diego Lopez, vediamo, dopo una litigata furibonda tra i due, Renè lasciare il set e il lavoro che ama da una vita. Dopo un periodo di depressione, la nuova occasione di riscatto arriverà grazie a Sergio. Dopo tanti anni di fiction su carabinieri, intrighi ospedalieri e drammi in costume girati alla "cazzo di cane", a Ferretti non sembra vero: un film in pellicola, serio, di denuncia, ovvero l'adattamento del saggio best-seller La Casta del 2007, scritto a quattro mani da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, racconto di sprechi, scandali e privilegi immotivati della classe politica italiana. Un film "alla Gomorra", per intenderci. Dopo incidenti e contrattempi vari, tutti i suoi tentativi di fare un film di successo svaniranno immediatamente e Ferretti si troverà a richiamare tutto il suo sgangherato cast della famosa fiction "Gli occhi del cuore", facendone una commediaccia di poco conto. Da qui è presente la critica ai cinepanettoni con una sempre pungente autoironia. Il film scorre bene, i dialoghi sembrano meno volgari rispetto alla serie, alcuni più taglienti di altri ("la tv è come la mafia, non se ne esce se non da morto").
Boris, pur venendo trasmesso solamente sui canali satellitari, ha saputo ottenere un riscontro di pubblico eccezionale, fino a sbarcare dalla televisione al cinema. Sul grande schermo la satira è indirizzata al mondo cinematografico, che, come per quello televisivo, funge da specchio per mettere sotto accusa l'intera società italiana. Un paese precario in grave crisi che sopprime il merito dei lavoratori. Il senso del film è proprio questo: Boris mostra l'effimero successo della mediocrità di oggi.
C'è da dire che se questa struttura funzionava in televisione, non sembra fare lo stesso al cinema: dopo un'ora di ritmo costante tra solite battute e situazioni ai limiti del paradossale, il film inizia un po' ad arrancare. Sono tante le battute cult o le scene del film che potrebbero essere estrapolate per offrire un'idea. Ma in fondo lo sa anche Renè che, una volta dentro, non si esce più dalla televisione. E se Renè non riesce a liberarsi dal linguaggio e dal mondo della tv, lo sa anche lui che in fondo la colpa è sua. Criticando la mediocrità, diventa lo spettatore del proprio ormai cinepanettone, "Natale con la casta". Senza dubbio la serie vince a mani basse nel confronto con il film, ma Boris - il film fa ridere e allo stesso tempo dimostra di avere le capacità di raccontare ad un pubblico italiano, inebetito da commediole senza arte né parte, la società di oggi. Sicuramente da quegli anni di Boris un piccolo passo avanti il cinema e la televisione l'hanno fatto.