ROCCO SCHIAVONE


Rocco Schiavone è il protagonista dell'omonima serie firmata Rai. Giunta ormai alla quinta stagione, ha permesso al pubblico di affezionarsi ad un personaggio controverso ma dall'animo sensibile. Perché chi ha sofferto legge la sofferenza negli occhi di chi la sta vivendo. Nonostante il linguaggio volgare, le parolacce – motivo per cui la serie non poteva essere mandata in onda su Rai 1, bensì su Rai 2 - e le "rotture di cogl**ni del decimo livello", così definisce il protagonista gli omicidi, emerge una personalità che dietro la corazza da duro nasconde una solitudine e un desiderio di donarsi al prossimo molto più prepotenti di quanto non possa sembrare a una prima, superficiale analisi. È saccente, sarcastico nel senso più romanesco del termine, maleducato, cinico quanto basta; odia il suo lavoro, soprattutto odia Aosta. Però ha talento. 
Disponibile su RaiPlay e Amazon Prime, dove proprio qui l'ho recuperata questa estate.

Rocco Schiavone (interpretato da un magistrale Marco Giallini) è un vicequestore romano che viene trasferito in Valle d'Aosta per una gestione poco ortodossa di un caso. Aver picchiato un violentatore che ha segnato per sempre la vita di una ragazza non viene visto di buon occhio dai piani alti della polizia, che decide di punirlo spedendolo in un luogo dalle temperature rigide e dai rapporti umani non sempre calorosi (almeno ad un primo acchito). Che il protagonista sia borderline fra la legge e l'illegalità (anche se mantiene ben delineati determinati limiti insuperabili), si nota sin dalla prima stagione. D'altra parte, i suoi amici più fidati che fanno incursione direttamente dalla Capitale non sono certo degli "stinchi di santo". Ogni puntata racconta un caso diverso, liberamente ispirato dai racconti e dai romanzi di Antonio Manzini. Sono giornate con dinamiche simili, ma con elementi che disturbano l'apparente quiete di Aosta. E tutto viene valutato secondo la personale scala di Schiavone dal livello sei al dieci, ogni imprevisto ha un determinato grado di "rotture di cogl**ni". Il suo intuito nella risoluzione dei casi lo porta a essere brillante e risoluto, ma è anche una persona che riesce a cogliere le sfumature, a leggere l'animo umano (dei criminali e non) e che segue una propria morale, spesso non coincidente con le regole. Il rapporto immaginario, intimo e profondo che intrattiene ancora con la defunta moglie Marina (interpretata nelle prime quattro stagioni da Isabella Ragonese e nella quinta da Miriam Dalmazio), uccisa durante un attentato al vicequestore, continua a essere un fil rouge della trama, un legame che condiziona quelli reali. Il vicequestore, infatti, non riesce mai a lasciarsi andare del tutto con le donne che riesce a conquistare nonostante un carattere burbero e spigoloso. Persino la giornalista Sandra Buccellato (Valeria Solarino) – ex moglie del questore Andrea Costa (Massimo Olcese), donna bellissima e risoluta – riesce a far breccia nel suo cuore. Nelle prime due stagioni ha, infatti, diverse donne con cui si diverte, ma è sincero quando le allontana, lasciandole in lacrime. Solo quando incontra Sandra, durante la terza stagione, riesce a lasciarsi andare maggiormente; purtroppo, però, i loro rapporti rimangono altalenanti a causa delle sue insicurezze e, di fronte alla delusione avuta da parte di Caterina, un'ispettrice che lavorava con lui nelle prime due stagioni e che l'ha tradito, andandoci prima a letto e poi rivelandosi un'infiltrata da Roma, e che nelle ultime tre stagioni cercherà di parlare insistentemente con l'uomo per spiegarsi, rovinerà tutto quando quest'ultima si presenterà alla sua porta di casa per rivelargli la verità. La sofferenza, le ferite profonde dell'animo rimangono ben presenti. I tormenti interiori e le vicende che prendono forma man mano, durante lo sviluppo della trama, lo costringono a farci i conti tutti i giorni. Grazie anche all'aiuto dei suoi amici romani (non proprio dalla fedina penale pulita) che corrono in suo aiuto moralmente e praticamente ogni volta che ne ha bisogno. Sebastiano Carucci (Francesco Acquaroli), Fabrizio "Brizio" Marchetti (Tullio Sorrentino) e Furio Lattanzi (Mirko Frezza) sono l'unica certezza affettiva del vicequestore. Nonostante la recente scomparsa della sua amica Adele (compagna di Sebastiano, interpretata da Anna Ferzetti), uccisa per errore durante l'ennesimo attentato architettato per eliminare Rocco Schiavone (al termine della prima stagione), il legame amicale rimane costante. Ogni vicenda, ogni intrigo che si intreccia ai casi da risolvere in Valle D'Aosta costringono il protagonista a fare i conti con il proprio passato e con situazioni rimaste ancora irrisolte. È questa continua tensione fra il bene e il male, fra il bianco e il nero, che si fondono e diventano grigio, a mostrare l'umanità di un uomo ferito, ma che continua a lottare. Che non si vuole concedere altre occasioni di amare, ma che finisce col farlo suo malgrado. Basti pensare al rapporto che instaura con Gabriele, il suo giovanissimo vicino di casa che prende sotto la propria ala come fosse un figlio e di cui sente la mancanza quando il lavoro della madre lo porta lontano (terza stagione). L'amore fa capolino anche nel rapporto con l'agente Italo Pierron (Ernesto D'Argenio). La complicità delle prime stagioni lascia il posto ad un distacco voluto proprio dal giovane che ha qualcosa da nascondere e non vuole che l'affetto di Rocco Schiavone si traduca in interferenze non gradite. L'amore è quello fra Alberto Fumagalli (Massimo Reale) e Michela Gambino (Lorenza Indovina), il medico legale e la poliziotta scientifica, arrivata dalla quarta stagione. Una prima antipatia che pare non lasciare spazio ad altro si trasforma in un legame sincero. 
L'atmosfera cupa e pesante che si respira rende palpabile lo stato d'animo di questo vicequestore, dai metodi discutibili, catapultato suo malgrado in una realtà lontana anni luce dal suo carattere trasteverino. Il sentimento di odio che prova per il suo lavoro completa un quadro rappresentato in modo estremamente realistico che si realizza nella splendida Aosta, creando una sorta di efficace contrasto tra l'umore, perennemente nero, di Rocco Schiavone e le bellezze naturalistiche che lo circondano, ma che il vicequestore non riesce proprio ad apprezzare. Il "rancore indotto" provato verso la cittadina, si esprime in maniera efficace nella sua testarda volontà nel non volersi "piegare" alle caratteristiche ambientali del luogo, continuando imperterrito ad indossare abiti e scarpe più adatti ad affrontare una passeggiata invernale sul lungotevere romano, piuttosto che la neve e le temperature gelide di una vallata alpina. La perdita della moglie, immaginaria confidente segreta da cui Rocco non riesce a separarsi, viene percepita come una delle cause che hanno contribuito ad inasprire il suo carattere scontroso e solitario, che solo i rapporti sporadici con gli amici romani sembra riuscire ad intiepidire. Non si capisce bene se le sue visioni della donna che ha amato siano dovute alla droga (fa regolarmente uso di cannabis) oppure al profondo dolore che si porta nell'animo. Fatto sta che Rocco non è per niente un modello di uomo. Simpatico a chi è attratto dal modo di fare romano (mentre risulterà antipatico a chi proprio non digerisce un certo modo di fare borioso), ma assai discutibile il suo modo di vivere. Sembra quasi che, pur facendo bene il suo lavoro (perché lo sa fare!) faccia il possibile per mostrarsi agli spettatori un modello da condannare a tutti i costi.

Non c'è molto da dire su Rocco Schiavone, essendo una serie tv con lo stesso stile di scrittura e struttura de Il Commissario Montalbano e simili. Tratta sempre da un romanzo, racconta le vicende poliziesche di un uomo, analizzando la sua vita tormentata da un passato atroce. Molte peripezie che ho già raccontato ruotano intorno alla vicenda principale riguardo all'omicidio commesso in passato ai danni della moglie. La prima puntata della seconda stagione, infatti, si svolge quasi interamente ad Aosta perché racconta il passato di Rocco a Roma prima della morte della moglie. La seconda stagione di Rocco Schiavone sostanzialmente inizia a fare luce nei buchi (lasciati volontariamente) sul suo passato, quello dei suoi amici e della sua vita precedente. Gli intrecci tra passato e presente vengono legati senza creare troppa confusione. I personaggi che ruotano intorno a Rocco sono sempre accessori, soprattutto quelli in questura. La romanità donata da Giallini al suo Rocco è credibile, verace, mai caricaturale, con l'effetto di coinvolgere, trascinare nel suo mondo, al contrario dei suoi comprimari. Ed è una distanza, quella tra lui e gli altri, che si è acuita dalla prima stagione ad oggi, quasi ad elevare, glorificare, il proprio protagonista. Con la seconda stagione già si era visto un miglioramento nella scrittura, con la terza riusciamo a comprendere sempre di più il lato psicologico del vicequestore. Vedere Rocco rintanato in casa per una pseudo influenza - quando in realtà era tristezza, a causa della delusione di Caterina e l'arresto di Sebastiano - e comandare a distanza la sua squadra, per quanto sia nel suo stile, ha dato un po' di difficoltà al primo caso di questa stagione, che non è decollato subito. C'è voluta una seconda parte più dinamica per iniziare a trovare il Rocco Schiavone che tutti conosciamo. Essendo più breve, la quarta stagione aggiunge poco di nuovo alla trama verticale. Dopo le rivelazioni di Enzo Baiocchi, il fratello dell'uomo ucciso da Schiavone per vendicare l'omicidio della moglie, il vicequestore romano, per timore che la Polizia possa risalire a lui, prova a scappare da Aosta e al massimo attendere che il caso faccia il suo corso. Grazie, però, ai suoi amici, viene a sapere che il corpo di Luigi Baiocchi non è stato rinvenuto dove Rocco credeva di averlo sepolto. Si apre, così, un nuovo interrogativo per Schiavone, che intanto può tornare in Italia e riprendere le indagini lasciate in sospeso. I dialoghi con la moglie, a cui ci eravamo abituati e che erano uno dei momenti sicuramente più intensi della serie, sono quasi assenti, come se i suoi demoni si fossero silenziati: ma parliamo di Rocco Schiavone, e in verità tutto resta potenzialmente possibile. La quinta stagione, d'altra parte, non inizia bene. Il vicequestore, come sempre, conduce una vita solitaria, spassionata e priva di slanci. Uno ci sarebbe: Sandra; ma Rocco sembra non ricambiare i suoi sentimenti. Manca pathos, manca una vera e propria parte del percorso. Ferito nel corpo e nell'anima, Rocco viene a sapere che Enzo Baiocchi è di nuovo evaso dal carcere. Interessante lo spunto legato a Italo: dopo la fase della ludopatia nella stagione precedente, lo si vede molto avverso a Rocco (il rapporto tra i due sembra infatti ben lungi dal riprendere fuoco). Dopo aver gettato l'amicizia di Rocco e Italo in un oblio senza fine, a livello di sceneggiatura sono pochi gli spunti che lascino pensare a un re-inserimento sensato e coerente. Un altro elemento importante e offerto al pubblico durante la partita di calcetto (poliziotti vs giudici) è l'assenza sostanziale di Sebastiano. Ci sono entrambi gli amici romani del vice questore, ma lui ovviamente sta in carcere. Dopo il tentato omicidio a Enzo Baiocchi non si sa più nulla di lui. Totalmente appiattito l'effetto sorpresa, non più una delle prerogative di Rocco Schiavone (già dalla terza stagione in poi). Nonostante la serie tv vada in onda in un canale decisamente più di nicchia, gli ascolti anche per questa quinta stagione sono stati più che soddisfacenti, elemento che ha permesso alla Cross Productions – la casa di produzione della serie – di poter confermare un altro grande ritorno. La serie si sostiene grazie all'eccellente caratterizzazione di Marco Giallini nella parte del tormentato Rocco Schiavone. Ottima fotografia favorita dagli spettacolari paesaggi alpini e dalle riprese esterne della bellissima Valle d'Aosta. La regia cambia quasi ad ogni stagione ma riesce a seguire sempre lo stesso mood poliziesco e lo stile del personaggio. A differenza della prima stagione che ha sei puntate, tutte le altre stagioni ne hanno quattro, ad eccezione della quarta che consta di due sole puntate. Le singole puntate della serie si snodano agevolmente come episodi separati tenuti insieme dalla storia del protagonista non priva di colpi di scena. Belle le musiche, spettacolare la fotografia e per i fan, molto ben inserito nella parte il Giallini (forse anche perché, nella sua vita personale, ha vissuto il dramma della perdita della persona amata).

Rocco sta bene da solo perché la solitudine è la possibilità che si dà di viaggiare nell'immaginazione, andare a fondo del proprio animo e riconoscere quello che, psicologicamente, gli toglie la pace, il sonno, una serenità persa con la morte dell'amata moglie Marina. Ma sembra bloccato tra la vita e la morte. "È ora che fai i bagagli leggeri e che scegli una meta", gli dice lei, nell'ultima stagione, in uno dei loro intensi dialoghi, cercando di farlo andare avanti nella vita. Allo stesso tempo, però, il nostro vicequestore si dimostra essere un uomo di cultura, conoscitore della zoologia (si diverte a cogliere le somiglianze tra persone e specie animali), oltre ad avere una fissa per le parole poco note. Un uomo in viaggio ma senza meta perché – lo rivela a tratti – la vita gli pesa e le allucinazioni/dialoghi con la moglie morta sono espressione del desiderio di raggiungerla: uno stato, quindi, di grandissima sofferenza, quasi di depressione che lo spinge al limite del suicidio. E come chi viaggia senza avere una meta, anche lui sta male perché vaga come un'anima in pena che non trova pace perché gli manca il "luogo", la persona, che per lui sarebbe pace. Marina, l'ex moglie che lo accompagna nelle sue giornate sotto forma di allucinazione, ricorda una Beatrice che accompagna il nostro moderno Dante nel viaggio verso la verità. È facile rispecchiarsi, perché Rocco Schiavone, prima di essere un poliziotto, è un uomo: un uomo che vive tra l'illegalità (rappresentata dai suoi amici) e la bontà (appresa da sua moglie), ma è anche un uomo, nonostante le sofferenze, a cui non piace stare da solo, ma che sembra, nella solitudine, trovi la sua dimensione. Un uomo che fa il possibile per mostrarsi antipatico, scostante, solitario, per evitare di mettersi a nudo: la sofferenza, ancora viva nel suo animo per la morte della moglie, non gli permette di essere libero, affezionarsi e innamorarsi perché è una ferita ancora sanguinante.

Rocco Schiavone si aggiunge alla lunga lista di commissari approdati al piccolo schermo. Si potrebbe definire il "Montalbano delle Alpi". Non è un caso che dopo L'ispettore Coliandro, Non Uccidere e Il Cacciatore, Schiavone sia la nuova aggiunta - made in Rai - al catalogo del colosso americano. Sono tutte serie che rientrano in un nuovo filone, un adeguamento, un avvicinamento ai canoni seriali più moderni ed avanzati, una svolta verso la qualità. Una delle migliori fiction trasmesse dalla Rai negli ultimi anni. Giallini ha all'attivo due Nastri d'argento e due Ciak d'oro e ha già una certa familiarità con l'uniforme del poliziotto, e svolge le sue indagini tra la neve, il freddo e i colori cupi con un netto alone visivo di neo-noir, senza disdegnare dettagli dei cadaveri, e con un certo desiderio verso le donne. Nonostante i traumi e le paure, non si può vivere senza provare alcun sentimento verso il prossimo. È questo che emerge analizzando i personaggi della serie Rocco Schiavone. Le distanze poste per non lasciarsi ferire, la durezza come maschera per celare la paura di soffrire ancora vengono puntualmente accorciate o ammorbidite dalla comprensione di anime diverse (ma affini) che riescono a comprendere il vero stato d'animo di chi ci si trova davanti.