IN SILENZIO


La serie In silenzio è un prodotto molto diverso dalle altre serie tv arrivate fino ad ora dalla penisola iberica; è più sobria, cupa, dolente e ipnotica, quasi a virare verso atmosfere più dark. È una serie che ci parla di traumi, di immagini e di controllo, che si presta a più chiavi di lettura. E che, questa è la cosa più importante, tiene incollati allo schermo. 
Il nuovo thriller psicologico spagnolo diviso in 6 parti, creato da Aitor Gabilondo, racconta il mistero di un ragazzo accusato di aver ucciso i suoi genitori e che viene condannato a vari anni di carcere. Il volto di Sergio, interpretato da Aròn Piper, appare nell'intro della serie, mentre emana un grido a squarciagola. La bocca spalancata, il viso stravolto dalla rabbia, ma il suo urlo è coperto dal ronzio prodotto dalle telecamere a circuito chiuso. È questa la breve inquadratura che segna l'inizio di ogni episodio della serie. Un inizio semplice, senza fronzoli, ma efficace nel trasmettere la complessità di un personaggio che da carnefice diventa vittima.

Durante una notte una ragazza pedala su una salita di Bilbao. Improvvisamente qualcosa si schianta sopra il tetto di un'automobile parcheggiata facendola cadere a terra. La ragazza, spaventata e ferita, guarda cosa l'abbia fatta cadere notando il corpo di una donna. Un attimo dopo, per un pelo, non viene investita da un altro corpo, precipitato dall'alto. 
La serie parte proprio da questo avvenimento dove vengono mostrati il cadavere di una donna e poi di un uomo che sono precipitati dal balcone dell'ultimo piano di una palazzina di un quartiere benestante di una contemporanea città spagnola che non viene mai rivelata ma che sembra Bilbao. Il tonfo sordo dei due corpi agonizzanti, schiantati a terra uno dopo l'altro dal balcone del palazzo, è il suono che apre la prima puntata. La scena si sposta subito nell'appartamento, con il giovane che, dopo quello che sembra a conti fatti un omicidio perpetrato nei confronti dei suoi genitori, va nella stanza della sorella minore a rassicurarla. Fin dalla prima inquadratura della macchina da presa rivolto al protagonista, notiamo, attraverso i suoi occhi, paura e rabbia, due emozioni fortemente in contrasto che vivono nella sua psiche. 
Subito viene indagato e arrestato Sergio Ciscar (Arón Piper), il ragazzo figlio adolescente che non farà resistenza e mai collaborerà con la giustizia. Negli anni successivi, passati in detenzione nel carcere minorile, il ragazzo si chiude in un mutismo e mai rivelerà le motivazioni del crimine e se veramente è stato lui a commettere il duplice omicidio. Sergio è stato sei anni in carcere per aver ucciso i genitori. Da quel momento è noto a tutti come "l'assassino del balcone". Una volta uscito dal carcere, con un anno di anticipo per buona condotta, torna a casa sua, proprio in quell'appartamento dove tutto è successo. Oltre a indossare alla caviglia un apparecchio elettronico, che segna ogni suo spostamento, il ragazzo non sa che è anche sorvegliato 24 ore su 24, con delle telecamere e dei microfoni nascosti nell'appartamento. Una psichiatra, Ana, lo studia da remoto, grazie a questo complesso sistema di videosorveglianza, con una serie di telecamere installate al suo interno, e anche grazie alle videocamere sparse per la città. La sua vita diventa argomento di studio e inevitabilmente spettacolo. Uno spettacolo perverso che travolge tutti. È un progetto speciale, che vuole monitorare il suo reinserimento nella società. L'operazione segreta alla Truman Show, nel frattempo, è supervisionata dal vicecommissario Cabrera che, come si svela fin dall'inizio, è corrotto ed è stato mandato a sabotarla. 

Il taciturno giovane, intanto, non passa le sue giornate sdraiato sul divano e recluso nella casa del mistero, anzi viene inserito in un programma di recupero, affidato a un pastore evangelico, con cui ha avuto in carcere una fitta corrispondenza; costui è un uomo molto ambiguo, ma che fa lavorare il ragazzo in una serra. Per interesse, economico o mediatico, Natanel, l'evangelico che ha accolto Sergio nella sua comunità, si inserisce nella vicenda, osservando anch'egli il ragazzo. Un personaggio equivoco, con una personalità frastagliata, in bilico tra il bene che professa e il male che serpeggia nelle sue azioni. 
Nel frattempo Sergio riallaccia i contatti con Marta, una ragazza che aveva conosciuto durante il suo periodo di detenzione, ora un'addetta alle vendite di un negozio in centro città. Il fascino è quello che subisce Marta, attratta da Sergio, che più di una volta mette in pericolo la relazione con il suo fidanzato Eneko (Manu Rìos) per correre tra le braccia dell'assassino. La dottoressa Ana non perderà tempo e chiederà aiuto alla ragazza che accetterà la missione anche rischiando la sua relazione con il suo fidanzato, il quale gestiste un'agenzia immobiliare. 
Gli altri episodi evidenziano varie dinamiche, come quella dell'abuso emotivo, la manipolazione, l'isolamento e il disprezzo di sé che prova il protagonista su sé stesso. Sergio già dal primo incontro con Marta si apre e racconta che l'unica ragione della sua vita è ritrovare la sorella minore Noa, data in adozione dopo la morte dei facoltosi genitori. La sera del delitto in casa era presente anche Noa, che è stata risparmiata. 
La qualità della trama non annoia mai, anzi ti fa desiderare sempre di più di capire chi è veramente Sergio, del perché Ana è ossessionata dal suo paziente e perché sembra che i due protagonisti, di questo perverso gioco tra schermi e videoregistrazioni, hanno sempre di più cose in comune. Nonostante cerchi di essere sempre professionale e difendere con le unghie il suo progetto, Ana si ritrova travolta dalla macchina creata da lei stessa. Attraverso gli schermi cerca di decifrare i comportamenti di Sergio, di entrare nella sua mente e leggere il suo pensiero, manipolando Marta che piano piano s'innamorerà veramente del ragazzo. Nonostante ciò, anche Ana finisce per subire il fascino di Sergio. La vita del ragazzo proiettata sugli schermi diventa uno specchio della propria. Il suo matrimonio è in crisi e Ana riversa su Sergio amore e passione. Accarezza lo schermo, come fosse quel ragazzo solo e abbandonato da tutti, proprio come lei. Alla fine Noa si rivelerà come la soluzione all'intricato caso che finisce con un vero e proprio salto nel buio del ragazzo e della sua psichiatra che finalmente si incontreranno di persona. A distanza di sei anni i sopravvissuti, Sergio e la sorellina adottiva Noa, finalmente rivivono quella tragica notte. I ricordi e le paure esplodono come bolle in un acquitrino paludoso, impestando l'aria di mefitici effluvi. A questa angosciante rimpatriata partecipa anche Ana che, in qualità di burattinaia, deve delle spiegazioni per certi suoi comportamenti se non a Sergio almeno al pubblico a casa. La donna, infatti, è proprio la madre adottiva di Noa e sembrerebbe quasi che la donna abbia spiato il ragazzo fin dalle prime accuse, comprendendo il malessere di Sergio, il suo disturbo psichiatrico e il vero motivo dell'omicidio dei suoi genitori. Nelle scene finali si assiste all'apoteosi della morbosità e l'inquadratura ultima lascia tutto nel vago non offrendo alcuna certezza allo spettatore.

Come già accennato, In silenzio sembra essere l'opposto delle precedenti serie spagnole a cui siamo abituati. L'atmosfera è plumbea, un mondo dove piove di continuo come in Seven e ogni giornata sembra uggiosa e umida. Ed è claustrofobica, e non poteva essere il contrario, vista la storia che racconta. Dove le altre serie spagnole lavoravano per accumulo e per eccesso, In silenzio sembra lavorare di sottrazione, svuotando spazi e dialoghi per lasciare l'essenziale. La fotografia denaturata lavora sulle sfumature di grigio lasciando di tanto in tanto risaltare alcuni colori primari. 
È una serie che viene da lontano, dal cinema di Hitchcock, con La finestra sul cortile e Psycho - film in cui lo sguardo diventava ossessione, che l'occhio fosse quello di una finestra e un binocolo, di un buco nel muro o quello di una macchina da presa. La tecnologia ha man mano potenziato e moltiplicato la possibilità di visione. Tanto che quella di oggi è la società della sorveglianza: ovunque andiamo siamo monitorati da videocamere di tutti i tipi, che ci seguono, dalle strade fino alle webcam dei nostri computer. 
Non siamo a Madrid né a Ibiza, ma a Bilbao. In comune con le serie di cui parliamo ha il senso del colpo di scena, e anche quel senso di claustrofobia che i luoghi chiusi comportano. L'appartamento di Sergio, l'ufficio di Ana, ma anche la serra dove il ragazzo lavora per reinserirsi, sono piccole prigioni che schiacciano i protagonisti. Dall'exploit mondiale de La casa di carta, la serialità spagnola è diventata di tendenza e ha generato un piccolo microcosmo che spesso si alimenta al suo interno, creando sinergie e passaggi di testimone. Da La casa di carta ci siamo subito interessati ad Élite, in cui recitavano alcuni degli attori di quella serie. Così oggi la nostra curiosità è per alcuni degli attori della serie che recitano qui. Il protagonista è Arón Piper, l'Ander di Élite. Qui recita in un ruolo completamente diverso, agli antipodi. Da ragazzo sensibile, che esprimeva i suoi sentimenti, qui Piper diventa un ragazzo scontroso, urticante, che non parla mai, o quasi, che si presenta duro come una roccia. Il suo lavoro sul personaggio è notevole, ed è aiutato anche dal reparto del trucco. Il suo look, fatto di baffi radi, un tatuaggio sullo zigomo e un taglio di capelli con rasatura ai lati, è creato ad arte per sporcare il suo viso e renderlo quello di un ragazzo difficile. Accanto a lui, da Élite arriva anche Manu Ríos, che in quella serie era Patrick e qui è il fidanzato di Marta, anche lui con un'interpretazione più sobria rispetto a quella di Élite. Attori sicuramente scelti come attrazione di un pubblico perlopiù generalista, per poi sorprendere con la sostanza narrativa di sei puntate corpose in tensione e di colpi di scena. Accanto a loro spiccano anche le interpreti femminili, che, al pari del protagonista, sono il motore del film, per come i loro volti bucano lo schermo e per come i loro personaggi interagiscono con Sergio. Ana, la psichiatra che osserva Sergio con una dedizione che sembra andare oltre la sua professione. L'attrice è molto brava nel mostrare la sua vera natura della psichiatra, quella ancora più malata del ragazzo che vuole capire e curare: qui è pensosa e dolente, con capelli corti e un caschetto mosso a incorniciarle il viso. Accanto a lei, la rivelazione è l'interprete di Marta, giovanissima, occhi neri, volto da bambina e labbra carnose, un volto che potrebbe diventare quello di una star. 
A far andare, ancora una volta, Sergio in crisi sono anche i dubbi che si celano nella corruzione sia della polizia che della setta religiosa; c'è qualche speranza per i personaggi man mano che lo spettacolo procede e lo vediamo con quelli di Marta o di Greta, l'unica donna, oltre alla psichiatra, che fa parte del team degli investigatori. L'aspetto più interessante di questa storia sono, appunto, i suoi personaggi, ognuno rotto dentro e non solo quelli principali già nominati, ma anche quelli secondari che mostrano, con le loro azioni irrazionali e di dubbia morale, un disagio interiore che disarma, ma allo stesso tempo emoziona. Vedere In silenzio equivale a esporsi alla fragilità della mente umana, all'incapacità di controllare la rabbia, l'ossessione, l'amore. In silenzio è una finestra sull'instabilità mentale, sulla debolezza, sul potere di un ricordo sbiadito e sull'incapacità di gestire le proprie emozioni. Mostrando il peggio che una persona può arrivare a essere, In silenzio punta a far sentire meno soli tutti quelli che si sentono "diversi" e dà loro un conforto ma anche una via d'uscita. Grazie ad una sceneggiatura di grande impatto emotivo, la serie viaggia su più tematiche differenti, riuscendo a coinvolgere in prima persona gli spettatori. Una scrittura che però rivela qualche calo nel momento in cui va a dipingere alcuni dei personaggi secondari, che potevano esprimere al meglio il proprio potenziale. Ne è un esempio il meschino il pastore cattolico, che inizialmente sembra supportare il cammino del protagonista, ma è anche lui schiavo di una società ossessionata dall'immagine e dal denaro.

Se state cercando su Netflix una serie che per tutta la sua durata vi lasci con il fiato sospeso, In silenzio è la scelta giusta. Bisogna ammettere che per tutta la durata di In silenzio, da spettatori, si ha una forte sensazione di tensione, ansia, agitazione, ma allo stesso tempo fascino. Si vive questa serie con un continuo contrasto emotivo che alterna il tormento per una storia che si fa sempre più oscura e inquietante e il fascino per quello stesso tormento che fa paura ma sotto sotto ci piace.
In silenzio, dopotutto, gioca proprio su questo contrasto e riesce a raccontare il conflitto interiore e l'ossessione, di cui sono vittima i suoi protagonisti, con grande maestria, mostrando cosa significa non essere in grado di gestire i propri impulsi, le proprie emozioni, la propria rabbia. La serie è soffocante, disturbante, ma non assorda come dovrebbe, anche perché il protagonista, come gli viene fatto notare, è capacissimo di parlare quando gli fa comodo (ed è effettivamente un peccato che il silenzio nel quale si rinchiude Sergio, non si sa perché, non venga sfruttato di più). Lascia un cattivo sapore in bocca. In silenzio trasmette questo stesso senso di oppressione e angoscia che trascina lo spettatore, quasi con forza, dentro i toni e i colori scuri e opachi di questa serie Netflix che fa fatica a definirsi e a rientrare in un genere specifico. E, infine, sottolinea che i rapporti di parentela non necessariamente ci salveranno da noi stessi ma, anzi, potrebbero esser la miccia per farci esplodere facendo leva sull'incapacità di gestire i sentimenti, siano essi buoni o cattivi.

Nel complesso In silenzio, su Netflix, è una miniserie che si può guardare. Non è un capolavoro, ma lascia il segno. Nel cast spicca, senz'ombra di dubbio, l'interpretazione di Aròn Piper capace di dare al suo personaggio, Sergio, una forza e una violenza che in certi momenti toglie il fiato. La storia ha delle svolte inattese e tutto sommato coerenti, fino a un sottofinale in cui si tratta di stare al gioco e credere. Il finale vero e proprio, aperto e ambiguo, è un cerchio che si chiude e che ci lascia in sospeso. Quella telecamera che non funziona più, che manda un'immagine indefinita e traballante, e allo stesso tempo crudele e poetica. Ed è una di quelle inquadrature da grande cinema. Anche se siamo in tv. A metà tra un dramma psicologico e un crime, In silenzio è una serie dura, impegnativa e anche difficile da digerire ma allo stesso tempo un racconto che resta dentro.