Una delle storie più incredibili degli
ultimi anni, portata sullo schermo dalla regina indiscussa della serialità,
Shonda Rhimes (Grey's Anatomy, Scandal), con una
costruzione che alterna diversi piani narrativi con musiche R&B e hip-hop, e
location da urlo. Un cocktail di elementi che rende Inventing Anna probabilmente il prodotto uscito
da Netflix più discusso di quest'ultimo anno. C'è il mondo glamour di
New York; c'è l'enigma che si dipinge di giallo, in una sorta di rincorsa
continua tra giustizia e truffa. La storia quasi mitizzata del personaggio di
Anna Sorokin, nota all'alta società di New York con il nome fittizio di Anna
Delvey. ha suscitato diverse critiche. Anna è il
tipico caso di un personaggio reale, che sembra nato per il cinema. E per la
truffa. Affascinante, misteriosa, fredda e manipolatrice, la giovane esce dalla
serie come una sorta di eroina del nostro secolo, venuta dal nulla per
costruirsi da sola quello che si rivelerà essere poi un castello di carta.
Inventing Anna ne racconta l'ossessione ai
limiti del patologico per realizzare la sua visione. Una bugia se ripetuta più
volte finisce per diventare vera, giusto? Nel caso di Anna Delvey, sì. Ma il
suo cognome in realtà è Sorokin: Anna è una truffatrice di origini russe che
finirà in carcere per aver frodato migliaia di dollari ad amici, hotel e
banche. Vivian Kent (Anna Chlumsky) è una giornalista che vuole scrivere a
tutti i costi un articolo su Anna per rivalutare il suo nome dopo l'infamante
accusa di aver diffuso delle fake news. Ma chi è Anna? E come riesce ad
ingannare le persone ed ottenere tutto questo successo? Figlia di persone comuni – un
camionista e una casalinga -, la giovane Anna ha capito durante il viaggio
negli Stati Uniti che lì è facile "fare amicizia" con la gente che
conta. E, semplicemente, l'ha fatto. Aggiorna sempre il proprio profilo
Instagram con foto dei suoi viaggi, dei suoi look, degli aperitivi e delle
feste a cui partecipa; per godersi la vita e per conoscere più persone famose
possibili. Così, di conoscenza in conoscenza, ha rafforzato il suo personaggio
di ereditiera con un fondo di sessantadue milioni di dollari appoggiati su
conti tedeschi e un papà invadente e umorale che ogni tanto le blocca le carte
di credito. Tutto falso, ma credibile. La giovane accumula così debiti
fantasmagorici, finché la corda non si spezza. La donna è stata realmente arrestata
e poi condannata nel 2017 per diverse frodi per ingentissime somme di denaro.
La
narrazione inizia con Anna in carcere, in attesa del processo, che insiste nel
confermare la sua storia contro ogni evidenza. Osteggiata dal caporedattore che
vorrebbe darle il compito di seguire la cronaca del #metoo, Vivian farà di
tutto per convincere l'editore a darle una chance con la "dumb socialite" (stupida mondana) Anna Delvey. La prima impressione di Vivian è che debba
esserci assolutamente un errore, ed è con lo scopo di aiutarla - oltre che di
raccontare una storia che possa attirare l'attenzione dei suoi lettori,
ovviamente - che inizia ad intervistare amici e conoscenti della giovane caduta
in disgrazia. Vivian intervista chiunque abbia avuto a che fare con Anna, ed è
proprio attraverso il gioco dei flashback che il mosaico si ricompone. Non
senza difficoltà, visto che la protagonista mente costantemente, dopo aver
accettato comunque alla fine di fare l'intervista con Vivian perché ogni cosa
che finirà sui giornali "funziona perché se ne parla". Anna è il lato
oscuro del sogno americano, da sempre millantato come alla portata di chiunque.
Qui sta anche il problema che vizia la riuscita della serie: una volta chiarito
l'inganno di Anna, la narrazione si fa ripetitiva, e tenta di raccontare come
alcuni personaggi-chiave rimangano affezionati a lei nonostante le sue
malefatte. La stessa Anna, una squilibrata narcisista anaffettiva priva di ogni
rimorso che non esita a prosciugare i conti di chiunque – inclusa una delle sue
migliori amiche, viene rappresentata in maniera quasi idealizzata. D'altronde "questa
storia è completamente vera. Tranne per tutte le parti che non lo sono" è
la frase che apre ogni episodio poiché la vicenda di Anna Delvey-Sorokin è
realmente avvenuta, bensì ne è stata modificata un po' la storia.
Ispirandosi
all'inchiesta realizzata da Jessica Pressler per il New York Magazine dal
titolo "Come Anna Delvey ha ingannato i newyorkesi che contano",
Shonda imbastisce una narrazione che mette di fronte la truffatrice e la
giovane giornalista Vivian Kent. Come in un gioco di specchi, le
protagoniste-antagoniste si trovano a condividere un legame conflittuale e
complice, divertente e misterioso. Le avventure di questa giovane artista della
truffa russo-tedesca, che per due anni ha finto di essere una ricca ereditiera
per frodare banche, hotel di lusso e l'élite di tutta New York, sono
interessanti. Tutto il resto no. Il più grande problema sta in Julia Garner,
l'attrice protagonista, un po' troppo distaccata dal pubblico. Anna Delvey
doveva essere spocchiosa e snob, è vero, ma così si arriva alla totale assenza
di empatia con lo spettatore che non fa mai il tifo per lei e, verso metà della
narrazione, si annoia anche. A volte si ha l'impressione che si tende a cercare
di giustificare alcuni dei suoi comportamenti manipolatori e assurdi, arrivando
però al punto di confermare la pazzia della donna. Il finale si rialza e
giustifica l'intera visione della serie.
Inventing Anna è composto da
nove episodi della durata di circa un'ora. Ogni puntata è dedicata allo
svelamento del punto di vista di un personaggio implicato nei fatti: il
fidanzato, le amiche, l'avvocato di Anna. Ogni prospettiva aggiunge un pezzo
del grande puzzle della storia, permettendo allo spettatore di farsi strada
all'interno di una vicenda complicata e fatta di chiaroscuri. Nessun
personaggio può essere semplicemente considerato buono o cattivo; ognuno, chi
più chi meno, porta avanti i propri interessi. La scelta di procedere su due
linee temporali diverse, il presente e il passato recente, è importante nel
mantenere sempre alto il coinvolgimento di chi guarda, che si trova davanti un
vero e proprio mistero da risolvere. Alla base di Inventing Anna
sembrerebbe esserci "il bisogno", la necessità di qualche cosa, come
ribadiscono in continuazione i personaggi. Il proprio interesse, che sia
puramente economico o volto a preservare la propria reputazione, è il motore di
ciascuno di essi, seppur con le ovvie differenze di modalità e di intenti.
Dall'avvocato di Anna, Todd (alla ricerca del ritorno di una brillante carriera
e di salvare il suo matrimonio) a Vivian, la giornalista modellata sulla vera
Jessica Pressler, passando per Rachel, amica di Anna, che venderà la sua storia
per soldi: sono tutti in cerca di qualcosa. E spesso non si fanno alcuno
scrupolo nel calpestare gli altri o semplicemente nell'utilizzarli come un
mezzo per il loro fine. Ovviamente in cima alla lista troneggia Anna, in grado
di mischiare le carte in tavola sempre a suo piacimento, di mentire con una
facilità disarmante e di fingere di essere qualcun altro. Anna sembra aver vissuto la vita di
persone diverse. Quante Anna è riuscita ad impersonare? E quale di queste è
disposta a sacrificare per il proprio sogno? Resta il fatto che la presenza
ingombrante di Anna nella vita delle persone porta disgrazie e allo stesso tempo
enormi fortune. Ed è su questo ambiguo filo di salvezza e condanna che si
muove Inventing Anna.
La scrittura
incalzante e una regia brillante rendono il prodotto godibile, insieme ad una
recitazione molto buona. Quello che, però, rende così particolare questa
mini-serie di Netflix è che si tratta di un vero e proprio J'Accuse a
una società tutta improntata sulle apparenze e non sulla concretezza che stride
ancora di più con i venti di guerra dell'attualità. La storia di Anna
Delvey diventa, in alcuni casi, anche il pretesto per affrontare temi più seri
e meno mondani come la disparità sociale, il ruolo delle donne nella società
attuale, il pregiudizio sulla popolazione di origine russa. Si tratta di spunti
di riflessione che vengono solo accennati nella serie, ma sono presenti e degni
di nota. Shonda Rhimes forza un po' la storia originale per adattarla alla
narrazione televisiva: il fidanzato di Anna, Chase, aspirante guru della tecnologia
in procinto di sviluppare un'app, "Wake", con lo scopo di catturare e raccogliere
dati dai sogni delle persone, è quasi completamente inventato viste le poche
informazioni sull'originale. Il problema del personaggio di Vivian, fondamentale
al racconto della vita di Anna, in quanto è lei ad unire insieme tutti i
personaggi e le storie, la quale diventa così il mezzo – e non il fine – di Inventing
Anna, è l'eccessivo spazio che si ritaglia. Moltissime scene sulla sua
gravidanza sono superflue e le incursioni sulla sua vita privata banalizzano la
sua personalità e la serie stessa. Inoltre è difficile immaginare come
qualcuno abbia potuto credere che l'Anna Delvey della serie possedesse un
enorme fondo fiduciario e le abbia concesso un prestito da ventidue milioni di
dollari per avviare la sua attività a Manhattan.
Personaggi negativi come Anna
Delvey andrebbero dipinti per quel che sono, perché appena cerchi di
intravederci del buono perdono ciò che li rende interessanti: l'essere degli
stronzi, per l'appunto, né più né meno. Come direbbe Miranda Priestly: "Tutti
vorrebbero essere noi" e alla fine noi ad Anna e ai suoi creatori sullo schermo
perdoniamo (quasi) tutto. Anche pensare di essere migliori degli altri.