La prima serie italiana targata Netflix, nata inizialmente
come prequel del film di Stefano Sollima Suburra del 2015, nasce nel 2017 ma si svolge nel
2008 e racconta la storia della città di Roma tra criminalità, politica, centri
di potere secolari e religiosi; la storia si muove dal punto di vista di tre ragazzi che
provengono da mondi differenti, ma che si uniscono con lo scopo comune di fare
soldi, così andando a scatenare una serie di eventi che prevedibilmente andranno completamente fuori controllo.
Dopo i primi confusionari episodi non si rimane di certo entusiasmati se decidiamo di paragonare la serie ad un prodotto come Gomorra ma, se
impariamo a distaccarci, quasi notiamo una svolta che troverà il suo apice verso
la metà della prima stagione. A mio parere, un punto di forza della serie è
sicuramente la rivalità tra le due famiglie, gli Anacleti e gli Adami. La
prima, di origine sinti, vive in una lussuosa villa alle porte di Roma ed ha
le proprie regole, la propria lingua e i loro sacri principi. Il loro capo è Manfredi
Anacleti, fratello maggiore di Alberto, detto Spadino (Giacomo Ferrara).
L'altra
famiglia, gli Adami, risiede sul litorale romano, a Ostia, dove intessono i
loro affari e tentano di mettere le mani sul terreno sul quale verrà costruito
un porto. Tra gli Adami spicca la figura di Aureliano (Alessandro Borghi) che
gestisce gli affari di famiglia insieme alla fredda e spietata sorella Livia
che non si ferma davanti a niente nel premere un grilletto. Insieme al figlio
di una guardia, Lele (Eduardo Valdarnini), cercano alleanze, commettono errori,
rimanendo a volte fregati. I tre ragazzi, pur sbagliando, cercano, attraverso
le loro fragilità, un ruolo preciso nella società che fino a quel momento li ha
visti come figure di secondo piano. Vogliono imporsi ed emanciparsi dalle loro
rispettive famiglie. Purtroppo ciò che riguarda il potere ecclesiastico non
riesce mai ad appassionare, complice una scrittura confusionaria, superficiale
e a volte piena di cliché. In particolare il personaggio interpretato da
Claudia Gerini, Sara Monaschi, revisore dei conti al Vaticano e che muove le
fila all'interno della commissione economica, non spicca di particolare curiosità.
Dalla parte politica anche il presidente della commissione urbanistica del
Comune di Roma, Cinaglia (Filippo Nigro), per cercare di scalare posizioni di
potere più alte finisce per cedere alla corte di Samurai, interessato ai
terreni di Ostia ed interpretato dall'attore Francesco Acquaroli che, a mio
parere, non riesce ad eguagliare la performance di Amendola.
Le scene più memorabili della seconda stagione, a mio parere
migliore della prima, sono diverse. Innanzitutto lo scontro energico tra
Aureliano e Livia era inevitabile dopo che lei aveva ucciso la compagna del
fratello ed era fuggita. Sono passati tre mesi dal finale di stagione,
siamo nei quindici giorni che intercorrono tra il primo turno e il ballottaggio
per eleggere il nuovo sindaco di Roma. Tutti cercano Livia Adami: Aureliano per
vendetta, Samurai per la firma sui terreni di Ostia, Spadino come leva per
diventare capo e Lele perché viene di nuovo ricattato da Samurai. Quest'ultimo
ha pagato la campagna elettorale di Cinaglia, pur di non farsi soffiare il
potere dagli Anacleti e dagli Adami.
A toccare aspetti sempre più attuali è il
ruolo di Sara Monaschi che, una volta finiti i suoi intrallazzi in Vaticano, si
risolleva per conto della sua Onlus, gestendo un campo profughi con l'arrivo a
Ostia di 500 migranti il giorno prima delle elezioni.
In tutto questo, mentre
Aureliano sembrerebbe assomigliare sempre di più a Numero 8 del film con quello
sguardo silenzioso e rabbioso e le ali tatuate sul collo, Spadino ne approfitta del fratello in coma per prendere il comando nella sua famiglia, trovandosi costretto a fare i conti con la sua omosessualità e un matrimonio che
non ha scelto. Infine Lele, che pensava di avere allontanato le minacce di
Samurai seguendo la strada del padre, è diventato vicecommissario di
polizia ma si troverà ancora una volta invischiato nelle dinamiche di Aureliano
e Spadino che, unendo le loro alleanze, decidono di affrontare il boss. Ma per
Lele è diverso e non trova via d'uscita: la sua morte chiude la stagione spezzando i cuori dei suoi amici. La relazione fra Aureliano, Lele e
Spadino è meno interessante rispetto alla precedente stagione, anche se è
grazie a loro che la serie mantiene un minimo motivo di interesse.
In questa
seconda stagione vengono introdotti nuovi personaggi come quello di Nadia che
verrà ripreso nella terza e, affiancato a quello di Angelica, presente dalla
prima stagione come moglie di Spadino, contribuisce a dare alla serie voce al potere
femminile.
La terza attesissima stagione conferma un gran cast,
rilasciando il capitolo finale come regalo per chi ha dovuto passare l'Halloween
a casa a causa del coprifuoco. Ciò che ci si chiedeva era senz'altro se avesse
rispettato la chiave narrativa del film. Il rapporto tra Aureliano e Spadino
era troppo profondo e la loro bromance troppo intensa ed amata
dal pubblico per arrivare all'insofferenza ferale che il film mostrava (per chi non se lo ricorda è Numero 8 ad uccidere lo zingaro). Basta poco
per capire che Suburra La Serie non è Suburra il film, fin dal
primo episodio in cui Aureliano e Spadino si vendicano della morte di Lele. I personaggi
sono gli stessi, ma capiamo che non si tratta di un prequel come ci avevano
fatto credere inizialmente. Come nel rapporto tra Aureliano e Spadino, anche Nadia
e Angelica sviluppano un'amicizia sincera e intensa che le porta a
sostenersi a vicenda. Una delle cose più riuscite in questa terza stagione. Angelica,
ora incinta, soffre perché sa perfettamente che il loro matrimonio è
legato semplicemente da un sincero affetto, a differenza dell'amore reciproco
che vede in Nadia e Aureliano. Mentre Sara Monaschi saluta la serie con una sola
scena, a Cinaglia, incastrato tra le viscere di Aureliano e Spadino, viene dato
un ruolo di particolare rilievo e drammaticità, soprattutto nel rapporto, ormai
distrutto, con la moglie. Cinaglia delinea un ritratto che ricorda quello di
molti politici partiti con degli ideali e finiti per perdere la propria
strada. Maggiore spazio è riservato anche al redivivo Manfredi che, con
quel "che mi sono perso?", di fatto, prende il posto di Samurai. In ballo c'è un nuovo, colossale
affare: un Giubileo straordinario indetto dal Vaticano. Aureliano e Spadino
dovranno venire a patti con Cinaglia, la mafia siciliana e il Vaticano, con lo
scopo di diventare i padroni della capitale. In un ritmo frenetico ma
drammatico Suburra chiude i battenti.
Nel 2015 con l'uscita del film diretto da Stefano Sollima e
tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, Suburra
raggiunse il successo per l'intenzione di creare e raccontare di una pellicola in cui si intrecciavano le storie di vari personaggi appartenenti a un sistema
corrotto e poco morale. Il successo del film spinse Netflix a creare una
serie prequel che potesse narrare in maniera più approfondita tutti i fatti e
gli avvenimenti antecedenti al film, ma che poi solo nell'ultima stagione è
riuscita a discostarsi completamente e rendere il racconto da apprezzabile ad
un vero e proprio successo. Suburra c'ha fatto amare Aureliano e Spadino, ma anche comprendere che con la loro ambizione non si arriva da nessuna parte se non hai il potere, quello vero, in una città come Roma.
"Roma
si governa con il potere, non con le pistole, e loro due non ce l'hanno".