Jean Holloway è la protagonista di questa serie creata da Lisa Rubin e mandata in onda da Netflix, e che ho visto poco dopo la sua uscita. Nonostante avesse buone premesse, ritengo che non sia stata sviluppata per il meglio. Viene definita thriller psicologico, ma sia la regia che la scrittura andrebbero riviste. Per essere un thriller è troppo poco ricercato il suo sviluppo. Si può dire che potrebbe essere più simile ad un dramma sulla trasgressione, ma allo stesso tempo, lo sviluppo della serie appesantisce il genere.
La protagonista, interpretata da una bravissima Naomi Watts, è un personaggio complesso, imperfetto e contraddittorio, quasi indecifrabile per lo spettatore. Jean è una psicoterapeuta sulla quarantina, moglie e madre, si può dire insoddisfatta. È alla ricerca di una vita che non le appartiene.
Quando capisce di non poter più reggere la gelosia per la segretaria di suo marito e le malelingue delle madri delle compagne di classe della figlia, attraverso le storie dei suoi pazienti, realizza la sua fuga dall'ordinarietà.
Costruisce una seconda identità: si fa chiamare Diane Hart e dice di fare la giornalista. Trasgredisce le regole della psicoanalisi, interviene nella vita dei suoi pazienti e si lascia travolgere dalle loro emozioni, come una sorta di transfert al contrario. È una psicoterapeuta fuori dall'ordinario: egoista, immatura, sociopatica, insoddisfatta. Attraverso la sua nuova identità, si trasforma anche in una manipolatrice doppiogiochista che inventa verità, pur di farsi accettare nella sua "nuova vita" e preservare la vecchia. Infatti, invece di fare il suo lavoro, insegue i suoi pazienti e va alla ricerca casuale di nuove persone, e poi tornando a casa, ritorna a fare madre e moglie. Sono sicura che qualsiasi psicoterapeuta si vergognerebbe delle sue azioni.
Grazie, però, a questi suoi incontri proibiti e pericolosi per la sua carriera, che ritrova il piacere di vivere.
L'attrazione per Sydney, sviluppata nella seconda parte dell'intreccio, è ciò che Jean ricerca e trova: inibita dalla sua ordinaria vita, è irrazionalmente attratta da una giovane donna, seducente, irriverente, sregolata, che vive la vita alla giornata e ogni emozione con coraggio e disinvoltura.
Si tratta dell'ex fidanzata di un paziente che soffre di dipendenza affettiva, il quale Jean comincia a manipolare per tenere sotto controllo il suo rapporto illecito con la ragazza.
Non riuscendo a rinunciare alla sua libertà, Jean/Diane vive la sua doppia personalità spingendosi sempre più oltre.
Se non fosse per la bravura di Naomi Watts, la serie non avrebbe avuto nemmeno una possibilità di visione da parte mia. Piena di stereotipi e cliché sulla vita famigliare di una donna insoddisfatta, insicura e alcolizzata. Non si conosce tanto del suo passato, ma di sicuro le azioni del suo presente sono a dir poco agghiaccianti e poco credibili. Ogni volta che Jean si osserva allo specchio, cerchiamo di capire, insieme a lei, chi è veramente. Ma andando avanti con gli episodi non lo capiremo più. Questo dispiace perché tutte le menzogne che racconta ed ogni azione che compie per nascondere la sua vera identità, la portano ad accumulare segreti ed entrare in un vortice autodistruttivo, che avrebbe potuto aprire porte per svelarci il suo essere.
È proprio questo tipo di personaggio sofferente e travagliato, tipico della società attuale, che avrebbe potuto attrarre lo spettatore, invece non porta minima curiosità.
Il finale di Gypsy, sospeso e poco chiaro come tutta l'intera serie, fa pensare ad un seguito che non è mai stato confermato per la gioia di molti. Dopo qualche mese, ho scoperto che la serie è stata proprio cancellata, così da non dare ulteriore spazio alle vicende della protagonista con un'altra pessima trama e dialoghi improbabili. Anch'essi, infatti, non sono dei migliori, ma si sarebbero potuti salvare se non fosse stato per la sceneggiatura lacunosa nella trama, che facciamo fatica a comprendere e perdonare.