Sempre con
qualche mese in ritardo ma ci siamo. La prima stagione di Tutto chiede salvezza (qui la recensione), serie Netflix
ispirata al romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli (Premio Strega Giovani
2020), aveva combattuto con onestà e ardore contro i pregiudizi, spiegando
com'è davvero, avere dentro di sé "la bestia". Ci era riuscita in soli sette
episodi – tanti quanti i giorni che il ventenne Daniele (Federico Cesari)
trascorreva contro la sua volontà presso la clinica Villa San Francesco in
seguito a un TSO – commoventi e divertenti, tragici e realistici. La seconda
stagione è più bella della prima. Una sorpresa, una conferma, quasi una
rassicurazione che esistono serie in grado di raccontare la malattia mentale senza
pregiudizi, ipocrisie o pietismi.
Nonostante il percorso luminoso intrapreso
in Tutto chiede salvezza, Daniele è fragile: basta un niente, una frase
sgarbata o un urlo troppo sguaiato, per destabilizzarlo e portarlo a pensare di
essere sbagliato. Il giovane frequenta ancora Gianluca al di fuori della clinica e si riunisce con Giorgio
- ora dipendente della Villa. Mario è scomparso per "essersi avvicinato
troppo all'uccellino", ma torna come angelo custode nei sogni del
protagonista, interpretato ancora una volta da Andrea Pennacchi. La sua
presenza eterea diventa un appiglio per Daniele nei momenti di maggiore
difficoltà, aggiungendo una dimensione spirituale e simbolica che arricchisce
la narrazione. Di Madonnina nessuno ha più saputo niente, ma forse prima o poi
si rifarà vivo. Solo Alessandro, catatonico, è ancora paziente della struttura,
una permanenza solitaria. La sua condizione spezza il cuore, ma sarà lui il
protagonista della scena più poetica e toccante della stagione, in cui i compagni cercheranno di tenerlo con sé, facendogli attraversare la "nave dei pazzi" per raggiungere la libertà che si merita. Verrà
successivamente spostato una volta che ha riacquistato la lucidità mentale e la
mobilità motoria, almeno in parte, e ora può andare dove sapranno curarlo
meglio: lo vediamo infatti fare riabilitazione nel montaggio finale.
Il ritorno
all'istituto, costituito dalle cinque settimane (e altrettante puntate), rischia
di abbattere ulteriormente Daniele, esasperando la sua spiccata empatia nei
confronti del prossimo. Con grande coraggio e un pizzico di incoscienza che
l'ha sempre contraddistinto, abbinata ad una grande sensibilità, il ragazzo ha
infatti deciso non solo di studiare ma anche di provare ad aiutare chi si trova
nella situazione in cui stava lui non molto tempo prima, e da cui comunque non
è totalmente "guarito" (non si guarisce dalla malattia mentale, la si
salvaguarda costantemente).
I nuovi pazienti non sono amichevoli come i vecchi
compagni, un paio sono riottosi, bulli, lacerati e aggressivi. Sono Matilde
(Drusilla Foer), che combatte ogni giorno con la propria non-voglia di stare al
mondo e soprattutto con la crisi d'identità, e Rachid (Samuel Di Napoli),
un immigrato ex campione di calcio
che ha avuto un'ascesa e una discesa ugualmente rapide ed ora si ritrova ad un
destino sulla strada, mentendo a sua madre. Matilde e la sua sofferenza latente
sono tra le grandi novità della serie, senza considerare che tutto il suo odio
sembra trovare in Daniele la vittima perfetta, dando vita ad alcune delle scene
più intense che si siano viste in una produzione italiana di Netflix. Daniele
le ricordava un vecchio amante deceduto e, una volta fatto pace con questo, ha
provato a riabbracciare la vita ma la depressione è tornata a colpirla tanto da
farci intuire un tentato suicidio con taglio ai polsi nel bagno della camera, trovata poi da Madonnina. È proprio Matilde, che dorme al posto di Mario, a capire Daniele.
Gli dice: "Io ti vedo, tu cerchi di darti un tono, di apparire normale ma tu
ce l'hai dentro, la bestia. Tu hai l'anima nera", turbandolo profondamente.
A dargli una ragione per non mollare è la dottoressa Cimaroli (Raffaella
Lebboroni): "Sai, la vera sfida è ritrovare in ogni paziente quella
traccia di umanità che a te sta tanto a cuore”. È poi il dottor Mancino (Filippo
Nigro), con cui Daniele - da paziente non era riuscito ad andare d'accordo - a fargli
comprendere che "in un reparto di psichiatria, tra noi e loro c'è una sola
differenza: il caso". Tra le new entry c'è la straordinaria Valentina
Romani, qui nei panni della figlia del povero Mario, Angelica, che ha fatto
pace con quanto successo al padre e capendo che non si è trattato di suicidio.
Passiamo ad un flashforward
finale ambientato tre mesi dopo: le poesie del ragazzo sono state pubblicate
dalla casa editrice di Angelica - con la quale ha una relazione, infatti si
baciano dietro le quinte - e alla prima lettura del libro sono presenti tutte
le persone importanti nella sua vita. Perfino Gianluca, che si era dichiarato
innamorato di lui e, sapendo di non poter essere ricambiato, non voleva più
vederlo. Matilde guarda da dietro una tenda del teatro, come se fosse una
presenza ultraterrena, proprio come il Mario di Andrea Pennacchi. Non ci viene
però rivelato il destino di Maria a livello legale.
La regia di Francesco Bruni,
calda e accogliente, aiuta in questo, nel provare istintivamente empatia verso
queste creature così fragili, così danneggiate e proprio per questo così
dannatamente vicine a noi. Si provano a ribaltare i cliché e gli stereotipi,
come quelli legati al personaggio di Rachid, e divengono tutti preziosi in
questo nuovo viaggio emotivo tra passato, presente e futuro dei protagonisti -
compresi i genitori, menzione speciale per le due madri di Daniele e Nina,
interpretate ancora da Lorenza Indovina e Carolina Crescentini, di cui
scopriamo nuovi aspetti. Oltre
a scendere in profondità scardinando molti pregiudizi sulla malattia mentale
(il diritto al sesso, il rispetto della dignità del corpo), Francesco Bruni ci
regala anche momenti di leggerezza come nel primo appuntamento allo stadio tra
Pino (Ricky Memphis) e Rossana (Bianca Nappi) e nella irresistibile comparsata
di Paolo Virzì, stalkerato dalla madre di Nina, Giorgia ("ah, queste mamme"),
nella scena del provino di Nina. Quest'ultima è davvero un'anima persa,
oppressa dai desideri di celebrità di un genitore insensibile e dalla
incapacità di adattare i propri sogni al mondo ("Non sono una signora" nella scena della folle notte in discoteca è l'emblema musicale azzeccato). Raccontare la depressione, la rabbia,
gli attacchi di panico sul piccolo schermo non è semplice né è facile per il
pubblico riuscire a digerire determinati contenuti, specialmente in un momento
di svago come la visione di una serie tv. In più non tutti potrebbero essere
psicologicamente pronti a testimoniare il dolore degli altri e mettersi in
gioco per affrontare il proprio. Però, il bello di questa serie e il segreto
del suo successo è che sa come comunicare, sa come dosare i suoi momenti di
profondità e alleggerirli quando è necessario e sa lasciare allo spettatore
tutto il tempo e lo spazio di aprirsi, emozionarsi e affrontare le proprie
emozioni, le proprie paure e le proprie ansie nella vita reale. È una serie
estremamente educativa, a tratti terapeutica e profondamente emozionante ma mai
melensa.
Tutto chiede salvezza 2 è emotivamente impegnativa, più della prima stagione. L'ipersensibilità dell'empatico Daniele gli impedisce di mantenere il distacco; è scosso dal coinvolgimento personale nei confronti dei pazienti e trascina lo spettatore con sé. Se il primo finale era chiuso ma
apriva comunque al futuro (con la gravidanza di Nina, non presente
nell'originale cartaceo), questo secondo ha sicuramente lasciato maggiori porte
aperte ad un'eventuale terza stagione pur chiudendo idealmente un nuovo cerchio.