La mia
prediletta - in
originale Liebes Kind (Dear Child in inglese) - è una miniserie
tedesca in 6 episodi. L'ho vista un paio di settimane fa dopo un anno dall'uscita.
Tratta dall'omonimo romanzo di Romy Hausmann, racconta la storia di una donna
rapita e tenuta prigioniera da qualcuno che la costringe a fingere di essere
un'altra, madre di due bambini e vittima di continui abusi. Questa premessa non
si evince da subito ma pezzetto dopo pezzetto ricostruiamo la storia di questa
prigionia.
Come in ogni thriller che si rispetti, nulla è come sembra, niente si
riduce all'opzione più banale in La mia prediletta, una serie che nelle
prime puntate sembra divertirsi a costruire e poi smantellare un'ipotesi dietro
l'altra, arricchendo il suo complesso mistero di sinistri particolari. Quando la donna che corrisponde alla
descrizione di Lena Beck, scomparsa 13 anni prima, viene ricoverata in seguito
all'incidente, il poliziotto (e amico di Lena e della famiglia), che indagava
sul caso, spera di aver ritrovato Lena. Ma la donna che giace in quel letto non
è Lena. Eppure, dice di chiamarsi così…
Le indagini di Haus si affiancano a
quelle ufficiali condotte dalla coriacea detective Aida Kurt. La scoperta di un
altro bambino rapito, Jonathan, tenuto nascosto in un bunker fino ad ora e
liberato, che considera Hannah come sua sorella, apre ulteriori piste e la
verità diventa sempre più complicata da svelare. Tutto ruota attorno al mistero
di Lena, all'identità di quella donna che afferma di essere lei, ai flashback
sulla prigionia fino alla fuga e all'incidente: i conti sembrano non tornare,
finché il caso diventa sempre più complesso e arriva a coinvolgere diverse
persone. Inclusa Lena.
La mia prediletta conduce la narrazione portando avanti la storia per farci scoprire cos'è
successo a Lena e alla donna in ospedale, alla bambina che è con lei e al bimbo
che è rimasto solo. Gli episodi seguono le indagini della polizia, il lavoro
degli assistenti sociali, il dramma dei genitori di Lena e di tutte le persone
coinvolte nel dramma risalente a 13 anni prima. Al tempo stesso, però, ci
indica una chiara chiave di lettura, concentrandosi sulla difficoltà di
reinserire nel mondo chi ha vissuto un lungo periodo di tempo - o addirittura
tutta la propria vita - in una situazione di costrizione, prigionia e abusi.
Ciò che Hannah racconta alla
polizia e all'infermiera che si prende cura di lei squarcia il velo su un
orrore profondo, complesso e articolato. Su qualcosa che una mente malata ha
messo in piedi con tanta cura da farlo diventare reale, addirittura
desiderabile perfino per una bambina sveglia come Hannah. È lei il personaggio principale,
poiché vediamo e apprendiamo molte informazioni dal suo punto di vista e
entriamo nella sua mente più volte nel corso della stagione. La giovane attrice
riesce ad essere innocente e inquietante e, man mano che la situazione in cui ha
vissuto diventa più chiara, è giusto che sia proprio così. Così episodio più avanti scopriamo
che Lena vive con i due bambini, e le loro vite sono controllate in modo brutale:
ad esempio devono mangiare pasti molto specifici in momenti molto specifici;
persino le pause per i servizi igienici e il sonno sono controllati. Quando "Padre" si presenta alla porta, tutti e tre si mettono in fila e mostrano le
mani. Poi "Padre" entra e i tre girano le mani per mostrare l'altro lato.
Sostanzialmente, tutto è follemente regolato da quest'uomo, e senza avere
scelta le sue vittime fanno ciò che egli dice, perché sanno che la punizione
sarebbe rapida (e indimenticabile). Siate pronti ad arrabbiarvi o ad irritarvi in più punti della
storia che rende molto bene il senso di angoscia e l'inquietudine dei due
bambini, ma anche di Lena che poi scopriamo essere una copywriter con altro
nome e altra identità, rapita e trasformata dal mostro nell'amata Lena.
La
vicenda è effettivamente ispirata a casi di cronaca di donne segregate per anni
in prigioni casalinghe; si tratta, quindi, di una storia già vista, ma che viene
narrata in modo avvincente, con tanti colpi di scena e soprattutto facendoci
entrare negli sguardi dei suoi personaggi. Quasi ogni puntata si conclude con un cliffhanger più o meno
esasperato, al fine di mescolare le carte e spingere lo spettatore a cercare
una propria soluzione.
La mia prediletta vanta un ottimo cast, a cominciare dalla
protagonista Kim Riedle e dalla piccola Naila Schuberth, la cui naturalezza è
davvero impressionante. La scelta di affidare alla piccola Hannah uno dei ruoli
più importanti per la narrazione rimanda alla volontà degli autori di seguire
la strada indicata da Romy Hausmann: provare a mostrarci il mondo attraverso
gli occhi di chi ha vissuto sempre e solo in un modo, credendo che fosse
normale. Quando ti ripetono fino alla nausea le regole da rispettare per
restare viva, l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Ti affezioni ai
tuoi compagni di prigionia e perdi presto il contatto con la realtà, tanto da
iniziare a dubitare perfino della tua stessa identità. E quando riesci a
fuggire, il mondo che ti aspetta fuori non è accogliente e comprensivo come te
l'eri immaginato. Mai. Nemmeno se sei solo una bambina.
In ogni caso, per
bilanciare le cose, gli autori non si limitano a creare un mistero, ma
sviluppano anche una minaccia incombente che continua a essere presente per
tutta la stagione. È da qui che nascono i brividi, perché sappiamo che la
mannaia cadrà, ma non sappiamo quando e come. La scrittura di La mia
prediletta è all'altezza, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi. Non
si ha mai la sensazione che la storia si fermi per dare spazio a qualche "spiegone".
Tutto viene fatto nel contesto appropriato, risultando abbastanza naturale.
Certo, alcuni comportamenti strani rasentano l'illogicità per alcuni
personaggi, ma hanno senso all'interno del contesto.
La fotografia priva di
filtri rende le ambientazioni, tra le varie
Duesseldorf, Aquisgrana e Duisburg, realistiche e proprio per questo ancora più
inquietanti.