I LEONI DI SICILIA


La serie di Disney+ diretta da Paolo Genovese è un kolossal dal respiro internazionale che ha fatto storcere il naso ai fan più accaniti dell'omonimo romanzo di Stefania Auci. Sappiamo quanto sia difficile trarre un film o una serie da un romanzo di successo, ed è per questo che l'unico modo per non rimanere delusi dal risultato finale è considerare i due prodotti come unità autonome e a sé stanti, senza illudersi che uno sia necessariamente lo specchio dell'altro. Prodotta da Francesco e Federico Scardamaglia per Compagnia Leone Cinematografica e da Raffaella Leone e Marco Belardi per Lotus Production, I Leoni di Sicilia è riuscita a rendere giustizia a una storia complessissima e ricca di accadimenti come quella della famiglia Florio a modo suo, cercando per forza di cose di semplificare l'intreccio narrativo e di rendere il più chiare possibili le relazioni tra i numerosissimi personaggi presenti nel romanzo. Uscita sulla piattaforma ad ottobre scorso, ha da subito suscitato il mio interesse e, avendo riattivato in quel periodo l'abbonamento a Disney+ per altri motivi, ne ho approfittato nel vederla. I primi due episodi sono parecchio lenti e confusi, poi la serie comincia ad ingranare e tenere incollati allo schermo - soprattutto per la presenza di Miriam Leone, anche se meno incisiva rispetto al resto degli altri attori, al netto di qualche sbavatura dialettale per chi conosce bene siciliano e calabrese.

Il personaggio di Giulia Portalupi brillantemente interpretato da Miriam Leone - che, da siciliana doc, si trova per esigenza di copione ad interpretare un personaggio non siciliano ma milanese - brilla, per esempio, di un risvolto femminista che la serie sottolinea molto di più rispetto al romanzo, visto che è chiaro che il personaggio di Giulia sia il ponte più immediato con un presente, nel quale le donne hanno finalmente il potere di decidere per sé. Un tratto che di certo non la accomuna a Donna Giuseppina, interpretata nella serie prima da Ester Pantano e poi da Donatella Finocchiaro: anche qui, la serie cerca una strada un po' diversa rispetto a quella del romanzo, cercando di ammorbidire alcuni lati del carattere di una donna ostile e condannata all'infelicità.
I Leoni di Sicilia prova ad inserire il tema della condizione femminile, ma nulla di particolarmente approfondito, per quanto Miriam Leone e Ester Pantano ce la mettano tutta. Al di là di questo, la serie de I Leoni di Sicilia gioca molto di più sulle relazioni interpersonali dei Florio, anziché su quel tarlo fastidiosissimo dell'ambizione e del buon nome della famiglia, legato al terrore del fallimento. 
La storia è quella della famiglia Florio, il cui capostipite Vincenzo è celebre per avere reso il Marsala famoso nel mondo e per l'invenzione del tonno in scatola. La vicenda si ispira a fatti realmente accaduti ed è ambientata in luoghi reali che hanno ospitato le gesta della dinastia, protagonista della storia siciliana tra inizio '800 e inizio '900.

All'inizio della storia (1830) vediamo Vincenzo Florio 
(Michele Riondino) farsi attendere da un barone che gli deve chiedere un prestito. Vincenzo tiene il nobile sulle spine, alludendo ad un episodio del passato. Torniamo, quindi, indietro nel tempo. Tutto comincia con l'ennesimo terremoto a Bagnara Calabra, nel 1799, che costringe i fratelli Paolo (Vinicio Marchiori) e Ignazio Florio (Paolo Briguglia), due poveri e semplici commercianti, a trasferirsi a Palermo, dove intendono aprire una bottega di spezie. A dispetto delle grandi difficoltà economiche e delle preoccupazioni della moglie di Paolo, Giuseppina, che non è felice del trasferimento ma non ha scelta, i Florio riescono a diventare dei ricchi commercianti, benché osteggiati dalla decadente nobiltà locale. Sarà, però, il figlio di Paolo, Vincenzo, a farli diventare veri e propri capitani d'industria, nonché una delle dinastie più importanti di quell'Italia che viaggiava verso l'era moderna. Alla morte di Paolo, infatti, Vincenzo rileva una tonnara ed espande i suoi affari - compresi i prestiti ad alto interesse - accrescendo la sua reputazione di imprenditore di intuito. Vincenzo ha a cuore soprattutto "i piccioli" e vuole ottenere il rispetto della nobiltà che continua a guardarlo dall'alto in basso, ma l'incontro con Giulia Portalupi, giovane di estrazione borghese, gli farà mettere in discussione il proposito di acquisire un titolo nobiliare attraverso il matrimonio: proposito caldeggiato dalla madre Giuseppina, che non ha potuto seguire il suo cuore e ha dovuto accettare un matrimonio di convenienza. A differenza di una Giuseppina, quindi, Giulia riacquista potere scegliendo di affidare la sua verginità ad un Vincenzo Florio che non ha alcuna intenzione di sposarla e che, infatti, la terrà in bilico per decenni nei panni dell'amante. Già dal terzo episodio Giulia, infatti, rimane incinta e passa immediatamente da serva di casa a donna libera, che tiene testa a padre e fratello scandalizzati, che va ad abitare da sola nell'appartamento di uno del quale farà la mantenuta, che non si preoccupa della reputazione, che se ne frega se non c'è nessuno ad accudire la mamma malata. A quel punto Vincenzo da cattivo che sembra non voler riconoscere il figlio passa ad essere un uomo che non può fare a meno delle sue responsabilità, quindi le promette che un giorno, non troppo vicino, la sposerà. Tutta questa situazione che accetta Giulia mette in discussione non solo il rapporto di lei con la propria famiglia ma anche quello di lui con la propria, in particolare con la madre austera Giuseppina. 
Nonostante la ricchezza, Vincenzo non verrà mai accettato dai nobili a causa della sua mancanza di un titolo. Per questa ossessione Vincenzo si troverà a sacrificare prima sé stesso e poi i futuri figli avuti con Giulia. In un cast ricchissimo è Riondino a prendersi quasi tutto sulle proprie spalle. Interpretazione robusta e di spessore la sua, anche per il perfetto uso del dialetto e la capacità di non dare punti di riferimento. In lui traspare l'incertezza del tono dell'insieme, dal momento che la sua stessa caratterizzazione soffre del dubbio se farne un personaggio moralmente ambiguo o semplicemente una sorta di antieroe. Il Vincenzo che licenzia già da giovanissimo gli operai dalla sera alla mattina, che truffa e umilia come il peggiore degli usurai il prossimo, si dovrebbe intenerire per i bambini usati nelle miniere? L'amore bussa alla sua porta nelle sembianze di Giulia Portalupi, donna anticonvenzionale e colta che ama i suoi libri più di ogni cosa. La interpreta una meravigliosa Miriam Leone e dal terzo episodio la coppia protagonista Riondino-Leone conquista spazio e attenzione. La loro relazione, atipicamente moderna per quei tempi, ha alti e bassi: si passa dalla passione, alla violenza verbale e alla ricercata emancipazione femminile. Tutto, nella vita di Vincenzo Florio, sarà questione di rapporti vantaggiosi o svantaggiosi dal punto di vista economico, e i sentimenti - e la felicità che ne deriva - saranno messi in secondo piano, se non nell'angolo. E la storia della sua famiglia attraverserà sessant'anni di Storia.

La rievocazione storica è perfetta visivamente, con costumi, scenografie, fotografia di primissimo livello. Poi, però, tutto viene vanificato, unendo moderno e antico in modo alquanto sgraziato, con i toni melodrammatici da fiction, a cui si cerca di dare una verniciata di fresco con la colonna sonora. Tralasciando i titoli di coda con Durare di Laura Pausini - per alcuni poco attinente allo spirito de I Leoni di Sicilia -, l'impressione che hanno avuto alcuni è stata una certa forzatura nel far entrare a tutti i costi le musiche di oggi in un contesto vecchio di duecento anni. Il risultato, in scene come quella del rapporto carnale tra Ignazio e la sua amante sulle note di Vorrei che fosse amore di Mina, è straordinario, mentre in altre, come la scena in cui Vincenzo esce dalla tonnara sulle note di Supermassive Black Hole dei Muse, un po' meno naturale: non soltanto si allontana con espressione luciferina, ma ha una camminata spavalda, mettendosi il sigaro in bocca come farebbe un Michael Jordan che ha appena vinto il campionato e non un uomo dell'Ottocento. 

Nonostante i grandi pregi che è doveroso riconoscerle, questa serie ha anche dato l'impressione di essere un prodotto che "osa" poco. E non mi riferisco alla mancanza di scene di grande sensualità (che ci sono), quanto più in generale ad una narrazione che sa di tradizionale, quasi di fiction televisiva più che di serie tv italiana moderna. Il pubblico è cambiato, di questo tutti si sono resi conto, ma è la reazione a questa presa di coscienza che qui non convince e lascia alquanto perplessi, suggerendo che si sia presa una strada ibrida, un compromesso che non è né carne né pesce. Resta che parliamo di una serie maestosa che riesce ad attaccare lo spettatore dall'inizio alla fine, anche se capace di proseguire su un binario alternativo al best-seller internazionale che lo ha ispirato.