Gli eventi
sono raccontati, come già visto nella precedente stagione (qui), dal punto di vista
dei nemici di Roma: i Barbari. La prima stagione, diretta da Barbara Eder, si apriva con l'arrivo di
Arminio in Germania. Il furto dell'Aquila, simbolo del potere dell'Impero
Romano, è stato l'incipit della prima stagione di Barbari: siamo ben dopo
l'epoca di Cesare, Publio Quintilio Varo è il generale a comando delle legioni
romane che stanno avanzando nella conquista della Germania.
Nato germano ma
cresciuto romano, Arminio si ritrova a dover combattere i suoi stessi fratelli
per l'Impero. La prima stagione parlava dunque delle due anime di Arminio e
della sua decisione finale di unirsi al suo vero popolo, del legame/conflitto
con i suoi amici d'infanzia e con il suo stesso padre. Come è raccontato nei
libri di storia, Arminio decide infine di ricongiungersi con il suo popolo dopo
aver assistito allo sterminio della famiglia di Folkwin, il suo migliore amico.
Tradendo il suo padre adottivo Varus (Gaetano Aronica), Arminio mette in atto
la prima vittoria dei barbari contro l'Impero di Roma, costringendo i
sopravvissuti a tornare a sud del Danubio verso i territori più sicuri della
Pax Romana.
Nella nuova stagione, Arminio e sua moglie Thusnelda, di
fronte all'avvistamento degli invasori, pianificano un assalto preventivo e
cercano di riunire le tribù germaniche con la suprema riunione del Thing; si
trovano, così, costretti a fare i conti con le conseguenze della loro
ribellione e con l'imminente vendetta di Roma, oltre che con le mille divisioni
in seno alle tribù germaniche, ancora impreparate a far fronte comune contro
l'impero. Thusnelda e Ari cercano di unificare le tribù contro Roma, ma
dovranno fare i conti con il potente Reik Marbod, re dei Marcomanni, che
tuttavia non pare affatto intenzionato ad aiutare i protagonisti, e con quanti
desiderano sottomettersi agli oppressori. Tra le tribù, tuttavia, continua a
crescere il malcontento per l'ipotesi di un conflitto senza fine, e sono in
molti a sostenere la proposta di Marbod, che suggerisce di stringere una pace
duratura con l'impero. Anche lui, come Ari, ha trascorso l'infanzia a Roma, e
cela più di un segreto alla vista di tutti coloro che lo circondano, inclusa la
sua stessa moglie Oderike. Le cose, però, sono destinate a mutare
drasticamente, e il precipitare degli eventi porterà Ari e Thusnelda ad incrociare ancora una volta la strada con il loro vecchio amico Folkwin, che
deciderà di stringere un inquietante patto con gli dèi per proteggere suo
figlio Tumelico.
Il racconto
ci propone una successione di continui colpi di scena, in una girandola di
vecchi e nuovi personaggi tenuta insieme da un intricato tessuto di dinamiche
narrative – amori segreti, rivelazioni, vendette, cambiamenti di fazione,
maturazioni individuali e tanto altro ancora – che, a conti fatti, finiscono
per scontrarsi ingloriosamente con un minutaggio troppo breve e una
sceneggiatura decisamente non all'altezza. Le buone idee non mancano, ma il
loro numero è eccessivo rispetto ai tempi della narrazione, e la scrittura
complessiva della serie non consente agli interpreti di trasporle sullo schermo
in maniera fluida e naturale: i personaggi cambiano propositi e alleanze di
continuo, e le loro motivazioni, anche quando a rigore dovrebbero essere valide
e comprensibili, sembrano sempre appena abbozzate, alimentando una gran
confusione nello spettatore.
Se la prima stagione aveva conquistato il favore
della critica e del pubblico puntando i riflettori sull'evento più conosciuto
di quell'epoca – ossia la battaglia di Teutoburgo – al secondo ciclo di episodi
spettava l'ambizioso compito di traghettare la serie in un universo più vasto.
A fronte di un primo arco narrativo che avrebbe ben potuto limitarsi a una
miniserie autoconclusiva, il capitolo successivo era insomma chiamato a
giustificare la propria esistenza sancendo un autentico punto di svolta, così
da ampliare e approfondire la portata del racconto. Del resto, come ben sanno gli
appassionati di storia, la materia a disposizione non mancava affatto, dal
momento che la storia di Arminio e della guerra tra Roma e le tribù germaniche
prosegue ben oltre i fatti di Teutoburgo.
Dunque,
anche in questa occasione, come nella precedente stagione, il ritmo non
convince pienamente, dovuto ad una sceneggiatura che si dimostra meno
coraggiosa rispetto alla precedente stagione. Purtroppo anche la regia della seconda stagione
risente dell'improvvisa accelerazione narrativa voluta dai produttori della
serie, e il risultato risulta incredibilmente confuso e poco comprensibile. Le
riprese rimangono emozionanti e suggestive nelle poche occasioni in cui
descrivono il paesaggio incontaminato della Germania del primo secolo, o quando
catturano dall'alto la meticolosa organizzazione dell'accampamento romano.
Troppi eventi per soli sei
episodi trattati anche con una certa superficialità. Gli episodi saltano da un
argomento all'altro senza legarsi in maniera omogenea dando l'impressione di
voler dire tanto ma senza essere supportati da un testo ben strutturato. Anche
a causa della presenza di troppi personaggi, molte sequenze appaiono
confusionarie mentre le battaglie (che avrebbero dovuto costituire il punto di
attrazione primario) sono poche e non possiedono il giusto e necessario effetto
visivo. Manca, inoltre, l'impatto emotivo anche nelle scene più drammatiche o
sentimentali. Sembra quasi che le morti e le uccisioni di alcuni personaggi
siano stati funzionali soltanto ad eliminare "zavorra" non necessaria piuttosto
che a creare interessanti risvolti per il proseguimento della storia. Siamo
chiari: nessuno si aspettava che il Germanicus televisivo incarnasse quel
fulgido esempio di virtù delineato da Tacito nei suoi Annales e dal resto della
letteratura latina, dal momento che la serie tv ha legittimamente scelto, fin
dalla sua prima puntata, di raccontare i fatti dal punto di vista dei "barbari", e di rappresentare i Romani come oppressori crudeli, sadici e
sanguinari.