HOLLYWOOD

 

La miniserie, ideata da Ryan Murphy e uscita un anno fa, è ambientata negli anni '50 in una Hollywood piena ancora di molti pregiudizi, soprattutto nel mondo del cinema, e racconta, appunto, l'età dell'oro del cinema americano. 
Chi a quei tempi avrebbe voluto sfondare proprio come i protagonisti di questa serie? 
In questa miniserie di soli sette episodi, targata Netflix, Murphy riesce come pochi a scavare nelle emozioni umane e crea infine una serie – è vero - piena di contraddizioni, come è la stessa Hollywood. 
In Hollywood figurano molti volti nuovi, alcuni già noti, affrontando una tematica particolare e innovativa nel mondo del cinema dell'epoca, con quello stile inconfondibile di Ryan Murphy. 

Hollywood, Los Angeles, California. Siamo all'alba del Secondo Dopoguerra e Hollywoodland è divenuta meta comune di numerosi giovani pieni di sogni. Ma il mondo del cinema è severo e crudele, pronto a scartare chiunque per il colore della pelle o per le preferenze sessuali. Mentre in Italia nasce il Neorealismo, ad Hollywood a farla da padrona è lo strapotere degli Studios, macchine industriali complesse e dagli ingranaggi perfettamente oliati, fulcro di quella che è considerata la Golden Age della storia del cinema statunitense. In Hollywood gli Studios vengono rappresentati come un covo di serpi, il cui unico scopo è il guadagno, e che, seppur in disaccordo con le tendenze razziste dell'epoca, finiscono per assecondarle al fine di non perdere pubblico. 
La storia segue un gruppo di aspiranti attori e registi che a qualunque costo cercano di farsi strada per riuscire a fare parte di questo mondo, destreggiandosi nella giungla di produttori potenti e ottusi, agenti tirannici e senza scrupoli e salotti pieni di perbenismo ed ipocrisia. Per arrivare al successo i protagonisti si troveranno a dover compiere una grande scelta: cambiare a favore del sistema o rimanere sé stessi e provare loro a cambiarlo? C'è chi si troverà costretto nel prestarsi a merce di scambio o a oggetti di piacere, altri a fare buon viso a cattivo gioco per non essere rigettati dalla realtà in cui sono faticosamente riusciti ad entrare. Qui, in particolare, troviamo Jack Castello, un ventitreenne veterano della Seconda Guerra Mondiale che ama il cinema, al punto da volerne fare ragione di vita. Ammaliato in tenera età da uno spot, decide di tentare il tutto per tutto in un mondo costruito su una solida base di pregiudizi razziali e di genere. Sopravvive facendo di tanto in tanto la comparsa in qualche produzione, ma sogna di poter diventare una vera e propria star. Oltretutto, con un figlio in arrivo, la moglie lo mette sotto pressione per i soldi, imboccando l'inizio di una crisi matrimoniale. Così Jack si reinventa benzinaio-gigolò. Ogni cosa ha un suo prezzo e i compromessi sono tutti legati a sesso e ricatti. 
Tra questi c'è anche il giovane regista esordiente Raymond Ainsley, un giovane regista visionario alla ricerca del prodotto perfetto da girare e che ha sempre avuto un'attenzione particolare per coloro che non ce l'hanno mai fatta a sfondare, come ad esempio l'attrice Anna May Wong, la prima star asiatica di Hollywood che nella sua carriera ha subito tante ingiustizie, o Hattie McDaniel, la celebra Mami di Via col vento, premiata sì con l'Oscar ma poco considerata a causa del colore della sua pelle. Anche la fidanzata di Raymond, la splendida Camille Washington, è afroamericana, nonché una delle giovani attrici più brillanti e promettenti dei fittizi Ace Studios, che però non riesce a sfondare nel mondo del cinema. Poi c'è Archie, la cui unica colpa è quella di essere afroamericano, che ha la passione per la sceneggiatura, al punto da scrivere uno script destando non pochi sospetti. 
La speranza si chiama Peg, la nuova pellicola in produzione presso la Ace, uno dei colossi del cinema americano. La pellicola è ispirata alla vita di Peg Entwistle, la sfortunata attrice britannica di Thirteen Women, realmente esistita e morta suicida nel 1932 gettandosi dalla lettera H dell'insegna di Hollywoodland perché rigettata dall'industria cinematografica. Se inizialmente, infatti, il film è pensato con una protagonista bianca, la vera lotta sarà quella per cui sia proprio la tenace Camille a ottenere la parte, qualcosa che avrebbe il potere di rivoluzionare la storia del cinema.


Hollywood parla proprio di questo razzismo, puntando l'occhio su tutti gli emarginati, scartati dal sistema per motivi di preferenze sessuali, colore di pelle e anche di genere. Per quanto riguarda i personaggi sono tutti ben caratterizzati. Murphy, sempre attento ai dettagli e a prodotti unicamente "politically correct", non solo vuole dare il tributo alla vera attrice, ma immagina una Hollywood diversa del "cosa sarebbe successo se", una Hollywood dove tutti hanno una possibilità, un po' come ha fatto Tarantino con il recente C'era una volta…Hollywood, decidendo di donare una seconda vita anche a personaggi realmente esistiti come Rock Hudson, Anne May Wong o Hattie McDaniel, riscrivendo la loro storia ed immaginando come sarebbe potuta andare per loro se l'industria di Tinseltown fosse stata più giusta e aperta. Sceglie, dunque, di inventare una realtà diversa, dove anche una donna può essere a capo degli Studios, una ragazza afroamericana può diventare la protagonista di un Best Picture e un omosessuale può diventare uno sceneggiatore famoso. Il cast, perfettamente amalgamato nella sua ottima alchimia, vede anche la presenza di Jim Parsons (The Big Bang Theory) nei panni di Henry Wilson, storico agente di una star come Rocky Hudson. I personaggi realmente esistiti sono inseriti perfettamente nel contesto della storia, senza essere dei semplici camei e risultando utili ai fini della trama. Non c'è un vero protagonista nella serie, vengono narrate tante storie che man mano che si va avanti finiscono per intrecciarsi tra loro. 
Hollywood, oltre a distinguersi per un ottimo cast, - si deduce - non è fedele alla realtà - e questo potrebbe essere visto come un difetto - ma perché ha un unico scopo: sfidare i pregiudizi della Hollywood del dopoguerra. Murphy velatamente lancia una critica ad un fenomeno che tutt'oggi accade e ne sono prova lo scandalo Weinstein e il movimento Me Too.

Un compito arduo, quasi utopico, anche al costo di rinnegare ciò che si è, se consideriamo la realtà di quell'epoca, quello di voler emergere in un mondo di squali. Una realtà in cui razzismo, sessismo e segregazioni erano una prassi all'ordine del giorno. Murphy passa dai toni da commedia leggera per raccontare le vicende della storia a quelli più seriosi per trattare i drammi umani dei suoi protagonisti. Fotografia, costumi e ambientazioni non sbagliano. In conclusione la serie risulta molto interessante, senza risultare noiosa, riuscendo ad appassionare, pur constatando alcuni difetti come cliché un po' troppo esagerati per la parte più riflessiva. 
La Hollywood di ieri, insomma, non era poi tanto meglio di quella di oggi, semplicemente si era più bravi magari a nasconderle certe cose. D'altronde, come spesso viene ribadito nel corso della storia, se c'è qualcosa che può cambiare la storia, quella è proprio il cinema.