Conoscevo la
tragica storia solo a voce, poiché non ero ancora nata quando avvenne, e mi ha
toccato molto. Non sono una fan delle fiction italiane, ma questa più che
fiction è un racconto fatto di realismo e niente retorica. Non c'è niente di "fiction".
È questo che cerco spesso dalla tv italiana: qualcosa che sappia raccontare,
anche in maniera cruda, qualcosa di reale o realistico facendo smuovere l'animo
umano. Perché se lo vogliamo fare, lo sappiamo fare anche bene. E questa serie ne è
un esempio.
Con il rischio
concreto di trasformarsi in un melodramma strappalacrime e nell'esibizione di
una tragedia già offerta a suo tempo allo sguardo morboso del pubblico, la miniserie,
diretta da Marco Pontecorvo e divisa in quattro episodi, riporta in tv il dramma
avvenuto nel giugno 1981, durante il quale un bambino di sei anni perse la vita
per grave disorganizzazione dello Stato italiano. Gli episodi raccontano, in maniera del
tutto reale, i tentativi di salvare il bambino dal pozzo: quando la polizia per
prima perlustrò la zona e capì che Alfredino era caduto nel pozzo, senza
misurare la profondità dello stesso, fecero cadere una tavoletta legata ad una
corda con la speranza che il bambino si potesse aggrappare ad essa; successivamente
capirono la profondità del pozzo e con un altoparlante legato ad un microfono
misero in comunicazione Alfredino con la mamma. Passò poco per capire che era
il momento di chiamare i soccorsi e la vicenda fu a dir poco improvvisata:
vennero vigili del fuoco, speleologi, medici, psicologi, volontari, e perfino
Sandro Pertini (Massimo Dapporto) che volle assistere alla scena. Lentamente la
situazione si aggrava: il terreno è instabile, il buco è troppo piccolo e il
piccolo Alfredo è incastrato a 36 metri di profondità. La notizia arriva alla
Rai e, convinta di poter dare una buona notizia, essa decide di iniziare una diretta
televisiva, che sarà l'inizio di una tempesta mediatica.
Ad interpretare
Elveno Pastorelli, il Comandante dei vigili del fuoco, è un bravissimo
Francesco Acquaroli che, con la presunzione di un rappresentante dello Stato,
non volle accettare aiuti da parte di giovani geologi e speleologi (Valentina
Romani e Giacomo Ferrara), fino a quando si renderà conto di aver bisogno di
tutto il supporto possibile, anche da parte di volontari pronti a calarsi nello
stretto pozzo, giungendovi da uno parallelo, scavato per raggiungere il bambino, ormai
arrivato a 60 metri di profondità. Un'accuratezza, dunque, nel raccontare ma
anche una grande attenzione nel preservare la figura di Alfredino che di fatto,
se si esclude qualche scena all'inizio propedeutica al racconto, non si vede
praticamente mai. Forte è invece la presenza del pozzo artesiano in cui
Alfredino cadde, intorno al quale, nel giro di poche ore, si riempì di
giornalisti, gente comune e non, curiosi e speculatori presenti nelle ore dei
soccorsi (che probabilmente li rallentarono).
Vinicio Marchioni è Nando, il
vigile del fuoco che, in quei giorni, riuscì a parlare e instaurare un dialogo
con Alfredino, parlandogli di Mazinga e dei robot.
Franca (Anna Foglietta) e
Ferdinando Rampi (Luca Angeletti) non erano soli ed accettarono ogni singolo
aiuto, nonostante ricevettero altrettante molte cattiverie dette nei loro confronti, ma consapevoli che
tutto ciò si sarebbe potuto gestire in maniera diversa. L'interpretazione di
Anna Foglietta è esemplare e più empatica non poteva essere, intesa così tanto che
ti disperi e piangi con lei.
Lo scopo
della serie va ben oltre, però, il commuovere o il raccontare l'episodio di cronaca. Alle vicende avvenute dopo la
morte di Alfredino viene dato ampio spazio nell'ultimo episodio che mostra le
conseguenze che questo doloroso dramma ha portato nelle vite dei genitori di
Alfredino. Grazie al loro impegno, oggi possiamo contare sulla Protezione
Civile e sul Centro Alfredino Rampi, costituiti per non permettere che
succedesse di nuovo qualcosa del genere. Ormai abile a costruire sulle macerie,
l'Italia non avrebbe più dovuto commettere errori simili.
La scomparsa
di quel bambino non è rimasta soltanto la storia privata di una famiglia, come
sarebbe stato più giusto che fosse, ma è diventata la storia di una nazione
intera. Ciò che mancava allora era un sistema organizzato di soccorsi, un
coordinamento tra soccorritori. Per ben tre giorni nessuno riuscì a tirare
fuori un bambino da un pozzo e il corpo venne recuperato a quasi un mese di
distanza. Le continue dirette di quei giorni portarono a far guardare a milioni
di italiani l'evento trasformato in un vero e proprio "reality show
dell'orrore".
Citando non solo pezzi d'epoca ma anche la celebre dedica
dei Baustelle del 2008, viviamo un'esperienza decisamente ed emotivamente molto
forte che, se sommata a tutta la mal gestione organizzativa, è ancora più
incredibile immaginare che tutto ciò sia accaduto. Un racconto teso, asciutto,
ricco di umanità e rispetto che ci dice davvero chi eravamo e chi siamo
diventati oggi.